G7 ambiente – chi si accontenta gode ….. così così

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Lunedì e martedì scorsi si è tenuto nella favolosa Reggia di Venaria l’incontro dei Ministri dell’Ambiente dei 7 Paesi più industrializzati del mondo ospitato dal Governo italiano nelle vesti di presidente di turno del “G7” per il 2024. I problemi e le questioni sul tavolo, facile pensare anche per i meno informati, hanno una portata inimmaginabile per noi tutti in considerazione della straordinaria valenza e delle conseguenze determinanti che hanno ambiente, clima, energia e biodiversità sul futuro del nostro pianeta.

Per più di dieci anni ho partecipato di persona agli incontri che questo “club dei G7” organizza annualmente sulle diverse politiche settoriali che, notoriamente, culminano nel Vertice finale dei capi di Stato e di Governo che quest’anno di terrà in Puglia nel Borgo Egnazia i prossimi 13-15 di giugno. Queste frequentazioni, e poi l’averli seguiti a distanza, mi hanno abituato alle contradditorie valutazioni circa i risultati conseguiti espresse da quanti soddisfatti, di solito gli esponenti dei governi partecipanti, e da chi al contrario criticamente deluso dal poco fatto per affrontare le grandi crisi del nostro tempo, di norma i rappresentanti delle organizzazioni di società civile impegnate sulle diverse questioni all’ordine del giorno.

Quello che al contrario non mi aspettavo è “il silenzio stampa” che ha accompagnato l’edizione di quest’anno: l’attenzione prestata e la divulgazione data a quanto discusso da parte dei media nazionale è stato, come si suole dire, “un silenzio assordante”. Eppure, di questo si è ormai tutti convinti, la tutela dell’ambiente, la crisi climatica, l’inquinamento atmosferico, la questione energetica, la preservazione della biodiversità e le loro implicazioni sulla nostra salute attuale e sulla vita di domani sono questioni di assoluta, totale, imprescindibile priorità per tutti. Sicuramente più delle beghette interne ai partiti, degli umori e agli ormoni dei politici, delle esternazioni di generali, degli inutili, inconciliabili, ma redditizi, contradditori dei talkshow, delle spavalderie di propaganda elettorali, dei teatrini pre-elezioni che hanno tenuto banco anche in questi due giorni di Venaria.

Salvo poche e lodevoli eccezioni, le informazioni sul G7, a parte quelle ufficiali e celebrative dei siti governativi, si possono trovare sui siti e i mezzi di comunicazione delle organizzazioni ambientaliste. Organizzazioni i cui rappresentanti sono stati esclusi dall’incontro di Venaria, per precisa ed inedita scelta del Governo italiano; esclusi dai mezzi di comunicazione di massa, in nome della narcotizzazione dell’audience; esclusi dalle opportunità di manifestare idee, soluzioni, proposte concrete. Le stesse Organizzazioni citate e notiziate per le manifestazioni e le proteste di piazza mediaticamente manipolate a loro discredito e attenzionate da forze dell’ordine che, sarà forse per questo impegno, non hanno potuto essere dispiegate anche in quel di Dongo.

Ciò detto, entrando nel merito delle questioni, la notizia più evidenziata, a partire dalle trionfanti dichiarazioni del Ministro Pichetto Fratin, è quella relativa all’accordo raggiunto per l’abbandono dell’energia prodotta da carbone entro il 2035. Circa la positività di questo accordo, sancito con la Carta di Venaria, come da manuale ecco le prime divergenze di valutazione. Principalmente dovute al piccolo, apparentemente irrilevante aggettivo “unabated” inserito nella dichiarazione finale adottata all’unanimità, ma non sfuggito agli osservatori della società civile.  Il fatto di non aver precluso il ricorso del gas per la produzione di energia, da molti interpretato come un regalo al Giappone; oltre ad aver solo minimamente accennato all’impiego di biocarburanti e solo nel caso di trasporto aereo, come sottolineato non senza delusione dallo stesso Commissario europeo al clima Hoekstra; a parte la citazione dell’energia nucleare come “utile a ridurre le emissioni per chi ce l’ha” (!!!); sorvolando su qualsivoglia mancato riferimento alla promessa fatta ai Paesi poveri per il cosiddetto fondo “loss and damage destinato a sostenere la loro transizione energetica; prescindendo da un impietoso confronto con precedenti dichiarazioni e accordi che da tempo promettono le medesime misure; a parte tutto ciò, dicevamo, la notizia sta nella decarbonizzazione energetica prevista entro i prossimi 10 anni, ma solo per il carbone “unabated. A spiegarlo in parole comprensibili è lo stesso Ministro Pichetto Fratin con dichiarazioni, ovvero interpretazioni, rilasciate dopo la chiusura del G7 quando ha affermato che l’abbandono del carbone dovrà essere “compatibile con la condizione sociale ed economica di partenza di ogni Paese” e sempre che, nel frattempo, non sorgano altri ostacoli di natura geo-politica come nel caso di nuove guerre. E ad escludere ogni eventuale diversa lettura, ci ha pensato il Premier giapponese Ken Saitò il quale, come già nella COP 28 di Dubai, ha riaffermato che le uniche centrali a carbone considerate dalla misura di Venaria saranno quelle non fornite di impianti di cattura e stoccaggio della CO2, quelle appunto che utilizzano carbone unabated, “non abbattuto”.

Come detto sopra, le valutazioni circa la positività o meno di quanto deciso a Venaria possono anche divergere. Ciò che invece è certa è la preoccupazione per la concreta applicazione delle misure concrete e drastiche per affrontare la maggiore sfida del nostro tempo e per il prosieguo del percorso verso un ambiente salubre e sostenibile. Preoccupazione che cresce pensando alla sede della prossima Conferenza mondiale sui cambiamenti climatici: dopo che la scorsa si è tenuta a Dubai presieduta da uno dei massimi manager di un colosso petrolifero, la prossima COP 29 si terrà a Baku in Azerbaigian. Un Paese di certo non esente da enormi interessi nei giacimenti fossili e nel commercio di prodotti petroliferi che costituiscono un terzo del proprio PIL.

Chissà se almeno il prossimo Vertice di G20 ospitato dal Brasile di Lula alla vigilia di Baku, non sia la speranza alla quale avocarsi per quell’inversione di rotta sulla lotta per la sopravvivenza del pianeta che solo la cecità dell’immediato tornaconto economico si ostina a negare.

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