La guerra russo-ucraina si combatte anche in Sudan

Mentre il mondo intero segue giorno per giorno la guerra tra Russia e Ucraina combattuta sui confini tra i due Stati, solo pochissimi sanno dell’altro fronte aperto tra le due Nazioni: quello che, nell’ignoranza totale e nella più classica disinformazione, incrementa un ennesimo eccidio di vittime innocenti in Sudan e ad alimentare le risorse economiche sperperate dai governi di Kiev e Mosca con la guerra in Europa.  

Il Sudan, da anni dilaniato da un’infinita e cruentissima guerra civile, continua ad essere un terreno di enorme interesse per molti Paesi occidentali tra i quali, appunto, Russia ed Ucraina. Fondamentalmente, per alcuni ben noti motivi che risiedono nelle strabordanti ricchezze minerarie presenti nell’area, nel suo affaccio sul Mar Rosso – area di controllo strategico per i più o meno leciti commerci con Africa e soprattutto Oriente – e nell’insaziabile fame di armamenti che tutte le guerre civili prolungate necessitano e contemporaneamente ingenerano.

Giusto per dare un’idea, rimandando per un’informazione più completa a quanto pubblicato da Martina Biral per il Centro Studi Internazionali di Napoli, un recente Rapporto presentato al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite con sede a Ginevra rileva come nel corso dell’ultimo anno le vittime della guerra civile sudanese abbiano raggiunto l’orrenda cifra di 14.600 alla quale di aggiunge quella di 26.000 persone rimaste ferite. Un inferno aggravato dalla quasi totale assenza di agenzie ed organizzazioni umanitarie impedite ad operare da un livello di insicurezza inusitato, che metterebbe troppo a repentaglio la vita stessa del personale.

In questo scenario di morte, di interessi prevaricanti la vita delle persone e di giochi fatti sulla pelle della povera gente, da tempo lo zar Vladimir Putin sta perseguendo l’obiettivo di possedere una base navale sul Mar Rosso, a Port Sudan, e così ulteriormente controllare e ingerire nei traffici internazionali che per quelle acque transitano, nonché fluidificare le esportazioni di materie prime preziose sempre più necessarie alle  esauste casse russe ancor più prosciugate dal conflitto europeo. Un obiettivo per il quale lo zar di Mosca, dopo aver dispiegato nel Paese la famigerata Brigata Wagner agli ordini di Yevgeny Prigozhin, nel corso di un’ultima visita a Kartum del suo vice Ministro agli Esteri Michail Bogdanov ha annunciato un repentino quanto incredibile ribaltamento di fronte in materia di appoggio alle forze implicate nel conflitto. Se ai tempi della Wagner e sino ad oggi, la Russia ha fortemente sostenuto, finanziato, supportato, istruito e armato le truppe una volta “ribelli” delle Sudanese Rapid Support Forces (RSF) ora la potenza moscovita si è radicalmente spostata a favore del Sudan Armed Force (SAF), ovvero l’esercito regolare di Kartum.

I principali analisti di politica internazionale, come la Jamestown Foundation, attribuiscono questo repentino cambio di fronte ad alcuni fattori alquanto evidenti. In primis, la necessità di contraccambiare il sostegno e supporto di Iran e Cina all’invasione Ucraina, da sempre schierate con la SAF ed enormemente coinvolte in attività economico-commerciali nel Paese e nella Regione. Un allineamento strategico con gli “amici” sul fronte europeo rafforza la posizione di Mosca nelle trattative e, soprattutto, torna utile per richiedere ulteriori incrementi nella fornitura di armamenti e tecnologie belliche.

Poi, come già accennato, la mira di disporre del porto sul Mar Rosso, con annessa base navale russa, da realizzarsi a Port Sudan per la quale un imbonimento del Governo sudanese attraverso cospicuo sostegno militare all’esercito regolare non può che giovare.  

Ma soprattutto, da quando una decina di anni fa si è tentato un avvicinamento tra le due fazioni armate, tentativo quasi immediatamente fallito per la divergenza di interessi e di conseguenti alleanze internazionali tra RSF e SAF, il continuo, redditizio e altrettanto criminale commercio di armi fornite alle milizie locali.

In questo sanguinoso teatro di guerra civile, l’Ucraina ha da sempre trafficato con l’esercito regolare ed il Governo sudanesi, inviando cospicui quantitativi di armi e di personale militare, sabotando il commercio di oro verso Mosca operato dalle RSF ed alquanto utile al Cremlino per affrontare le recenti sanzioni internazionali, nonché schierando uomini della sua intelligence particolarmente dedicati al monitoraggio delle mosse in loco della Russia.  

La Russia, ovviamente, non poteva che schierarsi sul fronte opposto, fornendo altrettante armi, personale e tecnologia bellica alle RSF. Sino ad oggi, quando le mire espansionistiche dello zar e la sua preversa volontà di annientare Kiev non hanno portato a tentare uno scalzamento dell’Ucraina dalle relazioni con il Governo di Kartum offrendo, forte del riallineamento con Cina e Iran, “un qualitativamente illimitato aiuto militare” alle SAF a condizione della totale interruzione di relazioni del Governo con Kiev.  

I cambi anche repentini di fronte non sono certo una novità sullo scacchiere internazionale. Basti ricordare quelli degli USA nei confronti dei Talebani, dei Kurdi e dell’Iraq di Saddam; quelli della Gran Bretagna verso il governo rwandese di Paul Kagame; ancora quelli francesi in Africa dell’Ovest; piuttosto che quelli cinesi e giapponesi nella regione dell’estremo oriente. Si sa: da sempre e ovunque sono gli interessi economici e conseguentemente geopolitici a sopravanzare e di gran lunga sulla correttezza di rapporti, la coerenza delle politiche, o i valori di lealtà e della “parola data”. Ma in questo caso c’è in ballo altro, come in un perverso circolo vizioso utile e redditizio solo per alcuni pochi.

Per dirla con Alberto Sordi, “fin che c’è guerra c’è speranza”. I 2.500 miliardi di dollari spesi per armare il mondo, restano il grande business globale. E sino a quando il circolo vizioso con il quale noi forniamo armi a Kiev, Iran e Cina lo fanno con Mosca; Kiev e Mosca forniscono armi a Kartum in cambio di materie prime preziose; tutti acquistano armi dai rispettivi Paesi alleati, quella speranza diventa certezza. Una criminale certezza fondata sulla logica del riarmo, della legge della forza e della violenza, della follia di chi crede che di questo passo si possa risolvere gli inevitabili contenziosi e i sempre più frequenti conflitti tra nazioni, nascondendo o mistificando la vera ratio di questa logica di morte.  

Dove la speranza, invece, rischia di svanire è nei figli delle vittime, nelle madri dei soldati mandati al fronte e dei bambini che per anni dopo la fine dei combattimenti perdono gambe, braccia e la vita saltando sulle mine antiuomo ovunque seminate; nei giovani reclutati come carne da macello; nei profughi di guerra, nei rifugiati politici, negli sfollati ambientali; in chi non sa come mettere assieme il pranzo con la cena, nei poveri della terra, negli esclusi che vengono buoni quando c’è bisogno di nuove forze per possedere l’Ucraina, la Palestina, il Polisario, il Kurdistan o imporsi negli oltre 50 conflitti oggi combattuti nel mondo. Tutti loro sacrificati sugli altari del dio del profitto e del potere imbanditi da falsi paladini della democrazia, finti costruttori di pace, lupi sotto mentite spoglie di agnelli.

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