Terzo Settore, neutralità e autonomia dalla politica
La presa di posizione del circolo ACLI di Cucciago, che non ha misconosciuto la scelta preferenziale per una lista civica di candidati alle elezioni di sabato e domenica prossimi, suscita polemica e pone alcune questioni.
La prima: gli Enti di Terzo Settore, semplificando potremmo dire l’associazionismo, sono realtà che sull’autonomia fondano la propria identità. Un concetto, l’autonomia, da non confondersi con neutralità. Schierarsi apertamente, sempre, per valori e principi di giustizia sociale, equità e scelta per gli “ultimi” è doveroso per ogni associazione che consideri l’impegno politico, inteso come partecipazione alla costruzione del bene comune, compito irrinunciabile per un Terzo Settore non appiattito ed imploso nel ruolo di erogatore di servizi, possibilmente a basso costo. La valutazione di merito, poi, se questi valori e principi siano discriminanti tra diverse formazioni politiche, riviene per l’appunto al libero arbitrio e alle decisioni “autonome” degli organi decisionali dei singoli Enti.
La seconda: un conto è la presa di posizione, altro è il rispetto istituzionale, il dialogo ed il confronto con gli Enti e le istituzioni pubbliche. Ho visto e vissuto rapporti di grande maturità, ed eccezionale efficacia, tra realtà politicamente schierate su fronti avversari, a volte contrapposti, protagonisti di accesi “scontri” dialettici. Il rapporto pubblico- privato è un cardine fondativo di qualsivoglia democrazia ed il fondamento imprescindibile per una buona amministrazione, essenziale a quel principio di sussidiarietà costituzionalmente previsto. Alle parti in causa, indipendentemente dal loro pensiero politico, corre il dovere di avvantaggiarsene e promuovere ogni occasione di collaborazione che rifugga logiche clientelari e di affiliazione, ma protesa al bene della comunità, in particolare dei più deboli di essa.
La terza: un Terzo Settore maturo bandisce il “camaleontismo”. Un vezzo, oggi alquanto diffuso, di mimetizzare i propri convincimenti, quindi la propria identità, per compiacere alle istituzioni governanti o al consenso popolare. Vuoi per un machiavellico tornaconto mistificato in nome del bene dei rispettivi beneficiari, vuoi per la più pavida tattica dell’indossare un abito adatto alle quattro stagioni. La crescita e lo sviluppo di una comunità, locale o globale non fa differenza, sono possibili con il confronto tra identità chiare, definite, quindi per definizione tra loro diverse, a volte conflittuali, sempre affermate e manifestate. La composizione di sintesi, propria di chi delegato ad amministrare, connota la bontà di una governance, ovvero stigmatizza ciò che si definisce la dittatura della maggioranza alla quale oggigiorno, purtroppo, siamo sempre più frequentemente confrontati.