Lo scandalo dell’Africa va in scena al G7

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Domani, giovedì 13 giugno, si aprirà a Borgo Egnazia (BR) il Vertice dei capi di Stato e di Governo dei 7 Paesi più industrializzati al mondo. Ridotto di un’unità dal 2014, quando la Russia violò le regole internazionali annettendosi la Crimea, questo ristretto ed anacronistico club avrà un’agenda che andrà a toccare alcune grandi questioni globali nel tentativo, sino ad ora riuscito unicamente sulla carta, di trovare soluzioni e strategie comuni per farvi fronte, ovvero per difendere gli interessi dei rispettivi Paesi e connessi maggiorenti. Perché nel mutato scenario mondiale del terzo millennio, sempre più i destini del mondo vengono determinati dalle scelte di altre potenze emergenti – Cina, India e Brasile in testa a tutti – riunite in altro club conosciuto come G-24.

Ma qui non intendiamo andare oltre nelle analisi istituzionali, quanto piuttosto affrontare uno dei temi inseriti all’ordine del giorno di Egnazia: l’Africa. Le questioni legate al continente africano saranno le prime ad essere discusse già nella mattinata di apertura dei lavori come primo punto in agenda unitamente ai cambiamenti climatici e allo sviluppo che, insieme al tema delle migrazioni, sono tra loro intimamente connesse.

Il cavallo di battaglia della Presidenza italiana, lo sappiamo, è quello del cosiddetto “Piano Mattei”. Avendo già trattato di questa iniziativa in precedente articolo, vorrei qui sottolineare come una visione distorta e utilitaristica dell’Africa sia alla base dei ragionamenti, delle scelte, delle strategie e dei progetti dei G7. La cultura neo-colonialista profondamente radicata nei loro governanti, e in buona parte dei loro partner operativi sui mercati internazionali, prosegue nella logica di sfruttamento delle risorse umane, economiche e naturali dei Sud del mondo, Africa in particolare. Ovviamente, oggi non sarebbe possibile diversamente, ammantando tale interesse con teorici impegni umanitari e pulsioni filantropiche. Per di più, da qualche edizione a questa parte, con l’insopportabile e francamente ridicolo invito al Vertice di qualche divo o star del momento in preda a slancio buonista e, soprattutto, dotato di considerevole credito mediatico alquanto utile al sempre più discreditato salotto dei Grandi.

Le promesse, gli impegni, le iniziative in favore dell’Africa susseguitisi nelle edizioni precedenti del G7 potrebbero riempire interi capitoli di un libro di mitologia. A partire dalla semplice, ma fondamentale questione delle risorse economiche promesse per lo sviluppo del continente. L’enorme gap tra quanto promesso e quanto realmente allocato per le popolazioni africane, manifesta una inadempienza amorale di tutti, nessuno escluso, ancor più vergognosamente mitigata con il gioco delle tre carte dove sul tavolo a ballare sono le stesse poche risorse stanziate computate più volte. I denari destinati ai migranti contano come cooperazione allo sviluppo; le risorse del Piano Mattei verranno sottratte, se mai saranno stanziate, al fondo per i cambiamenti climatici e la transizione ecologica; quelli per la cancellazione del debito inesigibile dai Paesi più poveri come finanziamenti concessi; e il solenne impegno di stanziare lo 0,7% dei rispettivi PIL per la cooperazione internazionale bellamente e impunemente disatteso sin dalla sua unanime assunzione datata anni ’60.

Ci sono momenti nei quali a fronte di contesti di enorme drammaticità, di fronte a milioni di vite in pericolo, davanti a situazioni di disperazione e di vita infra-umana fatti e parole devono tornare ad una semplicità assoluta ripudiando illusorie, mistificatorie, pretestuose, olezzose, ridondanti strategie buone per placare le coscienze, ma del tutto inefficaci per risolvere i problemi.

Il recente Rapporto del Norvegian Refugees Council dipinge gran parte dei Paesi africani e delle loro rispettive popolazioni come un inferno nel quale tentano di sopravvivere centinaia di milioni di esseri umani. Chiedo anticipatamente scusa per ricorrere alla noiosità dei dati che in simili casi, tuttavia, assumono carattere perentorio e inaggirabile. Dovrebbero farsene una ragione anche i decisori riuniti da domani ad Egnazia. Ne riporto solo alcuni tra i più sconvolgenti rimandando ad un impegno condiviso di una lettura più completa.

Sono 7 milioni i congolesi obbligati ad abbandonare le proprie dimore; 340mila in Mali; altrettanti all’incirca in Niger; 800mila, tra sfollati e rifugiati, in Ciad; ben 8 milioni in Sudan. In Burkina Faso, nel 2023, 8.400 persone sono morte per il conflitto in essere e altre 700mila scacciate dalle loro abitazioni, mentre in Sudan i morti censiti oscilla tra i 13 e i 26mila. Sempre in Burkina, sono state chiuse 6mila scuole e 400 strutture sanitarie lasciando 3.6 milioni di persone senza assistenza medica; nel Camerun, 2.5 milioni di abitanti sono a serissimo rischio di fame, lo stesso dicasi per 2.3 milioni di persone in Niger, per 2.9 milioni in Chad e per 6.9 milioni in Sud Sudan, tra i quali 1.7 milioni di bambini; Niger che, oltre a questi “piccoli problemi”, si vede oggi “invaso” – come direbbe qualcuno qui da noi – da 325mila rifugiati o richiedenti asilo provenienti dai Paesi limitrofi.

Gironi danteschi che nell’ultimo anno hanno visto concretizzarsi gli impegni dei Paesi ricchi nei loro confronti in percentuali irrisorie. Fatta eccezione per la Repubblica Centrafricana (59%), gli altri Paesi hanno ricevuto aiuti dai Paesi ricchi, G7 evidentemente compresi, in misura del 30-40% di quanto promesso e pattuito.

Sono alcuni dei numeri dello scandalo di un occidente opulento, logorroico, benpensante e benestante, fortificato dentro le mura dei cazzi propri, intoccabile ereditiero di ricchezze e privilegi grondanti ingiustizia e sopruso, beotamente appollaiato su un’impalcatura vacillante ed inevitabile approdo della disperazione della maggioranza di esseri umani da essa esclusi o ricacciati a forza.

Se la speranza è l’ultima a morire, non resta che attaccarsi ad essa per il Vertice che si apre domani invocando, ancora una volta, un’assunzione di responsabilità umana, prima ancora che politica, da parte di chi, comunque, potrebbe scrivere nuove parole questa volta seguite dai fatti.

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