Furti di Stato

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I dati del 2023 relativi ai fondi del “5xmille” riaccendono l’attenzione su un vezzo comune a buona parte dei Governi succedutisi alla guida del nostro Paese: quello di utilizzare fondi inequivocabilmente vincolati a precise finalità per sanare casse, sopperire a carenze, incrementare stanziamenti, sostenere realtà, affrontare problemi che nulla hanno a che spartire con la loro destinazione originaria. Vezzo che ancora una volta si sta ripetendo in questo 2024.

Lo scorso anno, i denari che i 17.249.982 contribuenti italiani hanno inteso devolvere alle realtà accreditate per ricevere i fondi “5xmille” – Terzo settore, realtà sociali che fanno del volontariato, associazioni di solidarietà sociale, della ricerca scientifica e sanitaria – hanno raggiunto la cifra record di 552 milioni di Euro. Un dato rilevante determinato anche da 731mila contribuenti in più rispetto al 2022 che hanno sfruttato la possibilità offerta con questo meccanismo tributario.

Tutto molto bene, benissimo verrebbe da dire. Non fosse che per un piccolo dettaglio previsto nelle norme vigenti, per le quali al meccanismo del 5xmille è stato imposto un “tetto” che, se superato come nel caso del 2023, i fondi eccedenti non sono ridistribuiti ai soggetti destinatari. Essendo tale “tetto” fissato in 525 milioni di Euro, significa che quest’anno 27 milioni di Euro non andranno agli Enti designati, ma, in assenza di novità legislative, andranno a rimpinguare le casse dell’erario. Un’evidente violazione della volontà dei contribuenti che, con libera scelta e con proprie risorse, intendevano destinarle ad altra finalità.

Il vezzo di distrarre fondi destinati a cause specifiche non è certo una novità nella gestione del bilancio dello Stato italiano. I precedenti che confermano quanto questa prassi sia stata frequentemente adottata sono innumerevoli, vengono da lontano, attraversano schieramenti, maggioranze e governi di ogni tipo e colore. Alcuni di essi hanno anche assunto portata eclatante. Accomunati, tuttavia, da un vizietto particolarmente ricorrente e altrettanto nauseante: quello di prendere di mira, alla bisogna, le risorse allocate ai “settori deboli” dell’economia tra i quali, in pole position, quelli destinati al sociale e alla solidarietà.

Come nel caso, per fare qualche esempio, della crisi ALITALIA, solo di recente conclusasi con l’acquisizione da parte del gruppo Lufthansa. Il salvataggio dai crack della compagnia aerea di bandiera, sfiorato a più riprese, fu possibile grazie a successivi prelievi di qualche decina di milioni di Euro dal fondo per il finanziamento statale dei progetti per la lotta contro la fame nel mondo operati dai governi Prodi, prima, e Berlusconi, poi. O ancora, quando si decise di mettere mano al cassetto delle risorse accantonate per gli interventi in favore delle disabilità per evitare la chiusura di FIAT. Si proprio quella che oggi sotto pseudonimo ha trasferito la residenza fiscale in altri lidi. Oppure, venendo ad oggi, constatando la mancata erogazione, leggi la contabilizzazione all’attivo statale, del tesoretto di oltre 80 milioni di Euro costituito con le multe pagate dalle ditte inadempienti rispetto all’obbligo di assunzione di disabili ai sensi della legge “Biagi”. Ancorché vincolati alla precisa finalità di offrire opportunità di lavoro a persone svantaggiate, sino ad oggi le realtà sociali e i servizi pubblici impegnati in questo settore non hanno visto nemmeno il becco di un quattrino. O, per finire, nel caso del recentissimo pescaggio delle risorse per lo sbandierato Piano Mattei per l’Africa dai fondali degli stanziamenti per la lotta ai cambiamenti climatici, la transizione energetica e la cooperazione allo sviluppo.

Qualcuno, non di certo il sottoscritto, potrebbe sostenere la liceità di questa scelte in quanto possibili dentro un quadro di legittimità delle politiche di governo economico di un Paese. Ognuno, ancora e per fortuna, è libero di pensarla come crede. Tranne che nel caso del 5xmille. Perché la grande differenza con altre casistiche come quelle sopra esemplificate sta nella libera volontà direttamente ed esplicitamente espressa dai contribuenti “firmando” in favore delle rispettive realtà sociali prescelte quali destinatarie di questa quota delle loro tasse. Libero arbitrio sul quale nulla e nessuno può sindacare, né intervenire, tantomeno con un’interferenza statalista su quello dei singoli cittadini.

Ora non rimane che sperare in un ravvedimento governativo che, peraltro senza troppe complicazioni o difficoltà, ha tutta la possibilità di intervenire per modificare il massimale fissato per il “tetto”, ovvero definitivamente rimuoverlo, come da tempo sollecitato dalle rappresentanze del Terzo Settore. Almeno fino che le centinaia di migliaia di realtà impegnate nel sociale attive in Italia non si decideranno a modificare gli atteggiamenti di subalternità alla politica e di servilismo moraleggiante facendo valere la forza di un comparto della società civile senza il quale il Paese precipiterebbe in un inimmaginabile collasso economico, in un baratro sociale senza precedenti e in una vera e propria paralisi della maggior parte dei servizi essenziali garantiti dall’ordinamento costituzionale e democratico del nostro Paese.

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