Alimentazione fa rima con speculazione

E’ di questi giorni la proposta del Ministro Lollobrigida di modificare l’articolo 32 della nostra Costituzione per introdurre il principio di “sovranità alimentare quale dovere di tutti gli italiani”. Una proposta che comporta implicazioni politiche, ma soprattutto che incide pesantemente sulla salute umana e sul futuro dell’agricoltura.

Sperando che il Ministro abbia nel frattempo metabolizzato questo concetto, cosa non del tutto certa solo qualche mese orsono come puntualizzato in un precedente articolo, a chi come me si batte da decenni perché la sovranità alimentare sia il principio guida delle pratiche e delle politiche agro-alimentari verrebbe da gioire, se non fosse che diverse altre proposte e decisioni assunte da Lollobrigida & co. vanno in tutt’altra direzione, spesso in netta contraddizione con quest’ultima trovata.

Lasciando alle valutazioni personali le reazioni istituzionali e giuridiche del Presidente Mattarella, che non ha esitato a schierarsi per il mantenimento dell’impianto attuale della Costituzione e non creare precedenti a possibili altre superflue, pletoriche, innumerevoli, successive puntualizzazioni, è invece obiettiva la contraddittorietà di altre scelte di settore operate.

A partire dalla liberalizzazione per le cosiddette “TEA – Tecniche di Evoluzione Assistita, presentate come i “nuovi OGM” o OGM di seconda generazione che l’Unione europea ha recentemente proposto. Con la falsa propaganda che si tratti di biotecnologie meno invasive, le grandi multinazionali dell’agrobusiness tentano di far passare una inesistente equivalenza tra prodotti di laboratorio e specie naturali. Dietro le forti pressioni di queste potenti lobby, e dei rispettivi governi da esse condizionati, le nuove regole comunitarie impedirebbero agli Stati membri di bloccare il ricorso in agricoltura a questi nuove tecnologie, eliminerebbero l’obbligo di etichettatura e di tracciabilità dei prodotti alimentari, e derogherebbero alla obbligatoria valutazione di rischio.

Chi intellettualmente onesto, sa bene come gli OGM, comprese le TEA, siano ancora soggette a forti dubbi scientifici circa il loro impatto sulla salute umana; indiscutibilmente lesive della biodiversità e della conservazione di varietà di semi autoctone; economicamente penalizzanti la piccola agricoltura ed estremamente vantaggiose per le grandi multinazionali sementiere. Infatti, dovrebbe essere noto come passando all’utilizzo di sementi OGM, gli agricoltori saranno costretti ad acquistare i loro semi da un manipolo circoscritto a qualche unità di ditte produttrici che controllano il mercato mondiale forti della brevettazione dei loro prodotti di laboratorio.

Le stesse che, condizionando governi e istituzioni comunitarie, stanno forzando e ottenendo il definitivo sdoganamento di queste manipolazioni genetiche in palese contraddizione con il principio di precauzione, che è fondamento imprescindibile del diritto internazionale e secondo il quale, in assenza di certezza scientifica, si impone la sospensione dell’applicazione di qualsivoglia nuovo ritrovato. Uno sdoganamento già concreto in Italia. A Mezzana Bigli, comune della Lomellina, dopo che per vent’anni nel nostro Paese di era bloccato ogni tentativo di introduzione dei nuovi OGM, la prima sperimentazione di coltivazione di varietà geneticamente modificate di riso è stata autorizzata nell’azienda di proprietà della potente famiglia latifondista di Federico Radice Fossati Confalonieri. E si sa: una volta introdotte queste varietà, nulla potrà arrestare il loro forte potere contaminante su quelle tradizionali.

Una contraddittorietà rilevabile anche nelle decisioni assunte per la Politica Agricola Comune (PAC). A seguito delle pressioni di una parte degli agricoltori europei, immediatamente cavalcate dai rispettivi governi, le modifiche apportate a questa politica comunitaria vanno in una direzione completamente opposta al principio di sovranità alimentare e rafforzano i dubbi circa la competenza e la conoscenza della materia da parte del nostro Ministro all’Agricoltura. La possibilità di scegliere tra le rotazioni culturali e la diversificazione delle colture, due pratiche agronomiche con impatti alquanto differenti sulle fertilità del suolo e sulla biodiversità, l’abolizione dell’obbligo di lasciare incolta una parte dei terreni agricoli coltivati per ricostituire gli ecosistemi naturali di flora e fauna, il cosiddetto set-aside, sono alcune delle misure adottate con il falso obiettivo di incrementare il reddito degli agricoltori, di far fronte al problema della penuria derrate alimentari a livello mondiale e affrontare le avversità metereologiche e fitopatologiche. Nel mondo si producono alimenti sufficienti a sfamare 9 miliardi di persone, a patto di non destinarne la maggior parte alla inefficiente trasformazione in carne animale; il reddito degli agricoltori è schiacciato ad un misero 15% del valore economico dei prodotti dai contratti capestro delle multinazionali della trasformazione e delle catene della Grande Distribuzione commerciale che si accaparrano il restante 85% del ricavato dalla di vendita al dettaglio; le varietà tradizionali, opportunamente selezionate con le pratiche della genetica tradizionale assolutamente in grado di adeguarsi alle nuove condizioni colturali, come dimostrato in secoli di agricoltura contadina.

Con 7.000 specie vegetali e 58.000 specie animali, l’Italia è un habitat di altissimo valore, non solo per noi. Lo scorso 22 maggio in tutto il mondo si è celebrata la Giornata Mondiale. In tale occasione, il Ministro italiano per l’Ambiente Pichetto Frattin ha dichiarato come “Il governo è in prima fila nella valorizzazione del suo Capitale Naturale, fonte di resilienza e speranza per il futuro. La tutela della biodiversità è stata un asse fondamentale della Presidenza Italiana in occasione del G7”.

Sarebbe bene lo spiegasse anche agli altri componenti il suo governo.

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