“Orgogliosi di pagare più tasse” – l’Appello di 260 miliardari ai governi di tutto il mondo

All’insegna dello slogan “proud to pay more”, 260 miliardari, nel pieno svolgimento del Forum Economico Mondiale di Davos (WEF) che annualmente riunisce il gotha dell’economia, della finanza e dell’imprenditoria mondiale, hanno reiterato la richiesta ai governi di aumentare le tasse sulle (loro) grandi ricchezze.

La notizia ha dell’incredibile per i suoi contenuti, come per il cartello dei promotori di questa iniziativa. Il tutto prende il via dopo l’emergenza COVID quando, nel 2020 e su iniziativa della ONG OXFAM international, alcuni super ricchi, sollecitati dagli sconvolgenti dati del Rapporto annualmente pubblicato dalla ONG sulle disuguaglianze nel mondo, hanno preso carta e penna per scrivere una lettera aperta ai governanti con la quale informare della loro disponibilità a pagare più tasse. Il motivo di fondo?  La convinzione che il piccolo balzello dell’1% applicabile alle loro imposte, mentre non inciderebbe significativamente sul loro tenore di vita, potrebbe essere determinante per l’affermazione della democrazia e per una maggior giustizia sociale. Perché mentre i 5 uomini più ricchi del mondo dal 2020 ad oggi hanno raddoppiato la loro fortuna economica, 5 miliardi di persone nello stesso periodo di tempo si sono ulteriormente impoverite.

Il testo della lettera sottoscritta dai 260 afferma con decisione come una maggior imposizione fiscale applicata ai super-ricchi, per intenderci ai detentori di un patrimonio di qualche milione di dollari, “non modificherà radicalmente il nostro tenore di vita, né priverà i nostri figli, né danneggerà la crescita economica delle nostre nazioni. Ma rappresenterà una sorta di “investimento” che trasformerà la ricchezza privata estrema e improduttiva in un investimento per il nostro futuro democratico comune».

Un impeto morale? Un incontenibile sentimento di umanitarismo? Per alcuni di loro potrebbe anche essere. Certo è che per tutti e con maggiori probabilità, un calcolo e una proiezione ben precisi, come possibile evincere dalle dichiarazioni con le quali i firmatari hanno accompagnato la presentazione dell’iniziativa.

Come ben evidenziato nella lettera resa pubblica al summit di Davos, i paperoni firmatari sono convinti che “la disuguaglianza ha raggiunto un punto critico e il suo costo per la nostra stabilità economica, sociale ed ecologica è grave e cresce ogni giorno” equindi,prima che il banco salti trascinando tutti in un baratro dal quale difficile risalire, “saremmo orgogliosi di pagare di più per affrontare la disuguaglianza estrema; pagare di più per contribuire a ridurre il costo della vita dei lavoratori; pagare di più per educare meglio la prossima generazione; pagare di più per sistemi sanitari resilienti; pagare di più per infrastrutture migliori; pagare di più per una transizione verde”. Insomma, un’autorevole conferma di come l’imposizione fiscale sia tutt’altra cosa da una vessazione statale o addirittura da un pizzo di stato, ma piuttosto, e a condizione del buon utilizzo del gettito a vantaggio della comunità, uno strumento indispensabile per garantire quei servizi di base e quei diritti fondamentali di cui tutti dovrebbero godere in quanto cittadini. Un pilastro della democrazia che, per essere perseguita, non può che fondarsi sul contributo di tutti i cittadini, proporzionalmente commisurato alle rispettive possibilità di ciascuno di essi.

Lo stupore di fronte a tale perentorio posizionamento, cresce ulteriormente percorrendo i dati rilevati con un sondaggio realizzato dalla stessa OXFAM che, ringalluzzita dagli inattesi risultati dell’iniziativa sopra citata, ha intervistato 2.300 possidenti di patrimoni superiori a 1 milione di Dollari, immobili esclusi. Il 74% di tale significativo campione si dice favorevole ad un aumento delle imposte sulla ricchezza; il 58% si dichiara concorde con l’applicazione di un’imposta del 2% sui patrimoni al di sopra dei 10 milioni di dollari; il 57% ritiene che l’eccessiva ricchezza blocchi “l’ascensore sociale”; il 54% considera la ricchezza estrema una minaccia per la democrazia.

Sembra, in definitiva e per assurdo, che siano i benestanti ricconi ad essere i più convinti della urgente necessità di riequilibrare significativamente la distribuzione delle ricchezze globali. E pur avendo ben chiara la differenza tra chi costretto a fare i conti con gli spiccioli alla fine del mese e chi nella posizione di fare a meno di qualche superflua concessione, mi stupisco ancora di più della refrattarietà a procedere rapidamente in questa direzione ostentata dai populismi diseducativi affermantisi ogni dove e sostenuti in percentuali crescenti anche da chi con gli spiccioli deve fare i conti ogni santo giorno.

Sono 3 i nostri compatrioti che hanno aggiunto il loro nome alla lista dei firmatari: Martino Cortese, del Board della Fondazione Amplifon e cofondatore di Citibility, Giorgiana e Guglielmo Notarbartolo di Villlarosa membri di una famiglia nobiliare sicula, di antico lignaggio e con vasti possedimenti fondiari tra i quali tre principati, due ducati, cinque marchesati, una contea ed oltre venti baronie. Proprio Guglielmo, oggi a capo del “private equity and venture fund” della holding multinazionale PFC, dalle colonne de L’Unità lo scorso settembre ha dichiarato: “L’accumulazione di ricchezza oltre una certa soglia è una forma di disconnessione dalle proprie priorità umane e dalla realtà sociale che ci circonda. Chi ha denaro e chi gestisce denaro è depositario di una responsabilità verso il collettivo: il ritorno sociale e ambientale deve essere incluso in ogni calcolo finanziario che anticipi un investimento”.

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Un commento

  1. Ciao, fino a poco mesi fa avrei condiviso tutto. Per motivi che non sto a descrivere, seguo con interesse le vicende argentine. L’emergere del prof. Milei mi ha spinto a seguirlo nelle sue esternazioni ( l’ultima ieri proprio a Davos) e a leggere qualcosina in più circa la scuola austriaca da me sempre poco considerata in quanto, semplicisticamente, ritenenuta la mamma dei Chicago boys, economisti di Pinochet. Non rinnego il mio pensiero ma qualche dubbio in più circa il ruolo da riservare allo stato mi sta venendo…..Poi, metodologicamente, il fatto che dei ricchi dicano ‘tassatemi di più’ ha maggior valore rispetto ad un economista o sociologo che nega che questa sia una via giusta per un maggior benessere sociale?