30 anni di EZNL; 30 anni di non assuefazione

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La fine del 2023 offre l’occasione di riflettere su fenomeni solo apparentemente distanti dal nostro vivere quotidiano.  Così apparentemente distanti che, nel bene come nel male, portano pericolosamente all’affermarsi di atteggiamenti di assuefazione, ormai impadronitisi delle reazioni e dei convincimenti dei più.

All’origine di questa considerazione il Rapporto “Bloomberg”Billionaires index 2023 – pubblicato a fine anno. Secondo il magnate, ormai conosciuto per le sue analisi statistiche della ricchezza e dei ricchi nel mondo, i 500 uomini e donne più ricchi al mondo hanno visto incrementare i loro rispettivi patrimoni per un totale di 1.500 miliardi di dollari. A far da traino, e a garantire i maggiori introiti, il settore delle nuove tecnologie, intelligenza artificiale in testa. Motivo per il quale, Elon Musk torna ad essere primo in classifica avendo aumentato il patrimonio personale di 95.4 miliardi.

Per il controcanto, ci pensa la Oxford Poverty and Human Development Initiative secondo la quale, sempre nel 2023, nelle 110 nazioni meno ricche del mondo, 1,1 miliardi di persone vivono in condizioni di povertà multidimensionale. Il dato, che per onore del vero ricordiamo essere calcolato su un campione del 92% della popolazione mondiale (6.1 miliardi di persone), rileva come 534 milioni di poveri sono concentrati nell’area dell’Africa subsahariana, ma ben 730 milioni vivono in Paesi a medio reddito.

Al di là dei numeri, pur impressionanti, riferiti a questo 2023, l’impressione che può derivare da queste letture è quella di un “nulla di nuovo sotto il sole”. La situazione di diseguaglianza, ancorché in continua e drammatica crescita a livello planetario così come nel nostro Paese, non è certo una novità di questo anno appena conclusosi. Il che, essendo vero, provoca un sempre più evidente atteggiamento protezionistico coltivato nei meandri della rassegnazione individualistica, scalfibile e indignabile nella misura in cui le ingiustizie o le piccole molestie toccano gli interessi personali. Il piccolo cabotaggio vince, nel bene come nel male, contando sulle paure, sulle indecisioni e sulle reticenze dell’affrontare le incognite del mare aperto. Dopo tutto, per chi vive tutto sommato in condizioni dignitose o semi-agiate, il sistema funziona. Le sue imperfezioni, sebbene consapevoli della loro numerosità, tutto sommato non turbano più di quel tanto quel tenore di vita più che accettabile di chi vive, più per fortuna che per merito, in quelle nicchie di privilegio ovunque nel mondo garantite.

Eppure, questo fine 2023 impone di evocare l’esperienza di chi decise, trent’anni fa, di provare l’ebbrezza e la brezza del mare aperto. Di non assuefarsi all’inevitabilità del destino e di quello dei poveri in particolare.  Unicamente con un intento iconico, certo non volendo minimamente proporre un’apologia inadeguata a qualsiasi delle esperienze politico-sociali sin qui percorse. Il 1 gennaio 1994 il mondo intero, e quello latinoamericano in particolare, prendeva atto dell’affermazione di un movimento nato 10 anni prima in una foresta messicana. Trent’anni fa, l’Ejercito Zapatista de Liberacion Nacional – EZNL – lanciava una sfida decisiva al regime del dittatore Salinas che proprio quello stesso giorno celebrava l’entrata in vigore del trattato di libero scambio con gli USA e il Canada, il famigerato NAFTA (North American Free Trade Agreement). Cinque uomini e sei donne rifugiatisi 10 anni prima nella selva Lacandona, portarono un attacco al sistema capitalista e liberista del Messico, e del mondo intero, sorretti dalla decisione di decine di comunità indigene, centinaia di uomini e donne, migliaia di militanti negli anni aggiuntisi alla causa. La loro consultazione permanente portò alla decisione popolare di occupare, manu militari, sette città del Chiapas per insediarvi un’autorità indigena autonoma e indipendentista.  

La storia successiva del EZNL è ai più nota e, soprattutto, troppo articolata per includerla in questa riflessione. Certo è che, nel ben come nel male, questo movimento indigenista, sorto oltre i concetti di “destra e di sinistra”, divenuto icona dell’antiglobalizzazione dei decenni successivi, fonte di ispirazione per diversi altri movimenti popolari, sperimentatore di un nuovo paradigma di proprietà fondiaria e di una nuova architettura educativa, ha saputo mettere in atto un sistema di autonomia sociale, culturale e amministrativa degno di considerazione. Sicuramente di rispetto. Anche per la sua capacità di continuamente rinnovarsi; di ripercorrere errori commessi e mettere in campo radicali innovazioni e correzioni; di fare della partecipazione attiva dei cittadini un punto irrinunciabile e qualificante la propria idea di territorio e di comunità; di giungere ai 30 anni di storia testimoniando la possibilità di praticare alternative ad un pensiero egemonico e strumentalmente propagato a difesa dello statu quo. Lo hanno fatto e lo stanno facendo pagandone il prezzo di persecuzioni, arresti, violazioni dei diritti, violenza di stato e, sempre di più, soprusi e delitti efferati da parte dei narcotrafficanti.

A loro e a tutti coloro che nel mondo provano a non assuefarsi, il più sincero augurio di un 2024 migliore. Se lo sarà per loro, lo sarà per molti altri. Anche per noi.  

Cosa succede dopo? Ebbene, ognuno costruisce la propria idea, il proprio pensiero, il proprio piano su ciò che è meglio. E ognuno forse ha un pensiero diverso e un modo diverso. E questo va rispettato. Perché è nella pratica organizzata che si vede cosa funziona e cosa no. In altre parole, non esistono ricette o manuali, perché ciò che funziona per uno potrebbe non funzionare per un altro. Il “comune” mondiale è la condivisione di storie, di conoscenze, di lotte.

Dalle montagne del sud-est messicano. Messico, dicembre 2023. 500, 40, 30, 20, 10, 3, un anno, qualche mese, qualche settimana, qualche giorno, poco fa. Dopo.

(Subcomandante Insurgente Moisés”)

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