Clima e ambiente al giro di boa. Italia al palo

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La Conferenza mondiale sui cambiamenti climatici, la COP28 in corso a Dubai, è al giro di boa della seconda settimana di negoziato. La partita che si sta giocando, ormai è noto a tutti, è tra le più decisive per garantire la vivibilità sul nostro pianeta nel prossimo futuro.   

La disillusione che da anni regna sovrana, vista la follia verso la quale l’inerzia dei Governi ci sta catapultando a suon dichiarazioni ridondanti e di impegni disattesi in materia di responsabilità ambientale, sembra crescere in quel di Dubai. Di certo, come già citato, la presidenza della Conferenza affidata al presidente della società statale per gli idrocarburi degli Emirati Arabi Uniti, Paese ospite, non funge da ricostituente per il corpo malato di una politica prostrata alle multinazionali del fossile e collusa con i loro miliardari profitti.

Le molte ONG presenti a Dubai e impegnate per la tutela dell’ambiente e del futuro di tutti noi, continuano a diramare comunicati e allarmi in concomitanza dei work-NOT-in-progress dell’assise in corso. In buona parte ignorati dai media e dagli organi di comunicazione di massa. In altri casi sottoposti alle argomentazioni negazioniste di quel manipolo di scienziati, stimati in meno del 15% della comunità scientifica, a libro paga dei padroni delle industrie estrattive. Teste d’uovo che ancora tentano di sminuire, quando non del tutto negare, l’origine antropica del surriscaldamento globale, dell’inquinamento atmosferico e della tragedia ambientale giunta al suo ultimo atto.

Tutti sanno, e nemmeno possono smentire, della necessità di un’azione immediata, efficace, draconiana per invertire la corsa verso il baratro inevitabile che si para a due passi da noi proseguendo con l’attuale modello di sviluppo energivoro, iperconsumistico, insostenibile, vorace e per di più ingiusto nella distribuzione dei benefici e dei vantaggi. Molti, tuttavia, seguitano nel subordinare tale evidenza a farisaiche giustificazioni perfino addotte in nome e per conto dei cittadini, in particolare di quelli più vulnerabili ed esposti ai costi che indurrebbe, a detta loro, la transizione ecologica.

Una transizione “dolce, non ideologica, tecnologicamente neutra, che non comprometta la sfera economica”, così come chiesta dalla Premier Meloni intervenendo alla COP28, al di là di differenti giudizi di merito, semplicemente non ha più tempi congrui sui quali contare. Forse, vien da dubitare, altro non si tratta che di una maniera elegante, che ormai caratterizza ogni intervento in politica internazionale della Primo Ministro italiana, per guadagnare un tempo utile a fini populistici e tornaconti a breve termine.

Questa strategia messa in atto, per la verità in totale continuum con Governi precedenti, sembra confermata dall’accordo, siglato alla vigilia di Dubai, tra il Ministero delle Difesa ed ENI. Accordo che, fa sapere il Ministero, “consolida la collaborazione strategica su security e valutazione dei rischi attraverso la condivisione di esperienze e informazioni, che possano integrare le reciproche competenze acquisite nelle diverse aree geopolitiche di comune interesse”. Ciò che il Ministro omette, o consegna all’informazione dei cittadini italiani, è che tale accordo nel 2022 ha gravato sulle tasche degli stessi cittadini per 870 milioni di Euro, il 65% in più del 2019. Milioni che vanno ad assommarsi ai 1.2 miliardi di dollari elargiti dal Governo Meloni nei primi 9 mesi di questo 2023 a sostegno di progetti per l’utilizzo di energie fossili, tristemente conquistando la seconda piazza tra i Paesi che alla COP26 del 2021 in Scozia si erano impegnati a interrompere ogni finanziamento e sussidio ai combustibili fossili. A proposito di impegni assunti e poi disattesi!!

Già, ma questa potrebbe essere vista come un’interpretazione legittimamente opinabile. Ciò che al contrario non può esserlo, sono i dati relativi all’impegno italiano in materia di lotta ai cambiamenti climatici. Alcuni di questi, rilevano come il Belpaese proprio “bello” non sia. Il Rapporto realizzato da Germanwatch, Can (rete di 1.900 ONG più di 130 paesi che lavorano per combattere la crisi climatica) e NewClimate Institute, realizzato per l’Italia in collaborazione con Legambiente e presentato ieri alla Cop28 in corso a Dubai, colloca l’Italia al 44° posto nella graduatoria delle performance in materia di lotta ai cambiamenti climatici, arretrata di ben 15 posizioni rispetto all’edizione precedente. Piazzamento dovuto alla media tra il 37° posto per la riduzione dei gas serra e il drammatico 58° per la politica energetica.

La crescente sensibilità dei cittadini rispetto alle questioni ambientali lascia ben sperare in un’inversione di rotta determinabile attraverso gli strumenti ad essi consegnati con la cassetta degli attrezzi della democrazia. Tuttavia, nel dubbio, vale la pena sottolineare, a vantaggio di distratti, scettici, astensionisti, delegatori, fatalisti e rinunciatari, le positive ricadute e i significativi impatti positivi che la transizione ecologica comporterebbe nel nostro Paese. E per non essere bollati di partigianeria, cosa possibile se citassi il Presidente Mattarella ripetutamente intervenuto in merito, tiro in ballo Confindustria. La quale, al capitolo 7 del suo recente studio realizzato con RSE, calcola come l’attuazione in Italia del pacchetto europeo “Fit for 55” per la decarbonizzazione al 2030 comporterebbe, in 10 anni, maggiori costi cumulati per 136,7 miliardi di euro, generando un aumento del valore aggiunto di ben 689,1 mld€ e un risparmio di costi, per il solo settore energia, di ben 66 mld€ con maggiori entrate per lo Stato per 529,5 mld€.

I risultati della COP28 saranno valutabili solo fra qualche giorno, quando il 12 dicembre i sipario scenderà a nascondere la vergogna di un potere ignavo e asservito alla convenienza. Tanto, esperienza insegna che anche in presenza di auspicato successo negoziale e altrettanto attese scelte coraggiose, delle deliberazioni adottate a Dubai, come nelle varie sedi internazionali, tutti se ne fanno coccarda propagandistica e carta straccia attuativa. La perdurante impunità concessa agli inadempienti permette a governi e governanti di incassare teatrali successi nella commedia drammatica scritta per il futuro del pianeta e accumulare nefasti ritardi al banco di prova dell’agire.

Del resto, se la classifica quotata delle donne più influenti al mondo continua ad essere quella stilata con i criteri valutativi di Forbes, non c’è da stupirsi se le cose andranno ancora così per un bel pezzo. Ogni valutazione è lo specchio dei valori che la sottendono. Stupisce, invece, che quattro slogan, tre discorsi e due balle riescano ancora a convincere un elettore su tre che l’alternativa sarebbe peggio.

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