Como “al collasso” per i minori stranieri: occorre una soluzione partecipativa

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La città di Como, e di conseguenza il territorio limitrofo, sta facendo i conti con un numero di minori stranieri non accompagnati grandemente in crescita negli ultimi mesi. Con una lettera indirizzata al Ministro degli interni Piantedosi, l’Amministrazione rapinese denuncia l’impossibilità di accogliere e di sostentare quei 315 minori stranieri non accompagnati oggi presenti in Città. Per la verità, reiterando una richiesta di intervento avanzata dai suoi predecessori a Palazzo Cernezzi all’allora Premier Matteo Renzi, in materia di pressione migratoria sulla Città.

Situazione questa, come notorio, condivisa da diversi altri capoluoghi e strettamente connessa con l’incremento esponenziale degli “sbarchi” di questi ultimi mesi. Situazione senza precedenti; che sposta al dopo estate il picco di stranieri approdati in terra italiana che, negli scorsi anni, registrava il suo apice con qualche mese di anticipo. La chigiana speranza che, come in passato, si potesse contare sul fisiologico calo autunnale degli approdi, succulenta coincidenza con l’avvio della prossima campagna elettorale, si è infranta contro gli scogli lampedusani e i muri delle strutture di prima accoglienza aggrediti da migliaia di disperati in cerca di un futuro migliore. Eppure, alcune ONG già nel mese di luglio prevedevano per settembre un incremento esponenziale delle attraversate mediterranee. Ma si sa: non si dà certo retta a chi in combutta con scafisti e trafficanti.

La conseguente impreparazione istituzionale, figlia di un emergenzialismo illuso e illusorio che manco si cimenta ad ipotizzare risposte strutturali ad un fenomeno tutt’altro che sporadico e a termine, è la causa primaria di quel “collasso” denunciato da diversi Sindaci italiani, tra i quali quello del capoluogo comasco.

A riprova di ciò, giungono le dichiarazioni del Sottosegretario agli Interni Molteni che oggi, dalle colonne del quotidiano “La Provincia”, svela a noi sprovveduti abitanti di altro pianeta come “il problema è grave e oggettivo” e di come “occorra mettere mano alla normativa”. Perché l’obiettivo, sempre secondo la voce di Roma, è quello di “tutelare i veri minori”. Veri minori, veri profughi, veri rifugiati, veri richiedenti asilo, veri fuggitivi dalle guerre, veri cristiani, veri lavoratori, veri …… veri disperati che a costo della vita presente si giocano il diritto inviolabile ad una futura migliore.

Veri, inconsapevoli destinatari di un sistema schizofrenico, sempre in emergenza, che nel corso degli anni, compreso l’ultimo, ha continuamente “messo mano alla normativa” senza cavarci un ragno dal buco; che contribuisce ad un diffuso disorientamento e a pretendere un rocambolesco continuo adattamento delle strutture e delle realtà sociali vocate all’accoglienza e all’inclusione dei migranti. Associazioni e organizzazioni obbligate a ripetute metamorfosi operative per adeguarsi al pannicello caldo del momento o alla misura partorita dal normatore di turno in stato di affannoso delirio repressivo; ancora una volta chiamate a rappezzare un vestito logoro e logorato, fuori moda, disegnato per tutt’altra epoca, ma ancora ostentato nei defilé degli atelier elettorali con i colori della tutela dell’identità, dei valori, della cultura, del lavoro – chi più ne ha più ne mette – del nostro Paese. Addirittura di quel Dio che, stando a quanto oggi affermato dalla Premier in Ungheria, ancora impropriamente evocando Papa Francesco e in manifesto stato di delirio di onnipotenza, avrebbe bisogno della sua difesa.

Eppure, nella fattispecie del caso lariano, questa volta il salto mortale doppio carpiato delle associazioni e delle realtà sociali del territorio non è riuscito. Non ce l’hanno fatta. Il Bando indetto dalla Prefettura di Como per l’apertura di un nuovo centro di accoglienza in città è andato deserto; le strutture messe a disposizione con vari accordi tra istituzioni, come ad esempio la ex caserma militare, non hanno trovato chi le prendesse in gestione; le persone straniere di ultimo arrivo rimangono in capo all’Amministrazione pubblica che, non senza ragione, lamenta l’insostenibilità economico-sociale di siffatta condizione.

Non vorrei scoraggiare il Sindaco di Como, ma mi corre il dovere di ricordare come l’ultima “messa mano alla normativa”, conosciuta come il “decreto Cutro” (di fu Matteo) entrato in vigore a marzo di quest’anno, tutto orientato ad un insulso blocco degli sbarchi non prevede alcun incremento delle risorse destinate alle varie tipologie delle strutture di accoglienza previsti dalla normativa vigente. Nemmeno maggiore sostegno ai Comuni e alle strutture di accoglienza, né pubbliche, né private. Si può per questo comprendere come il suddetto Bando della Prefettura di Como conteneva alcuni vincoli che immagino abbiano condotto alla citata diserzione di massa: il numero di minori fissato in 15; il corrispettivo economico per ospite definito in 60 Euro/minore/giorno, ovviamente utenze e spese comprese; la durata dell’accoglienza stabilita in 11 mesi prorogabili; e, sottointeso data la tipologia degli utenti “minori non accompagnati”, assistenza e conduzione “h24”.

Il combinato disposto di queste condizioni spiega assai facilmente la rinuncia delle realtà di Terzo Settore locali. Chi gestisce in tutt’Italia i CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) e i Centri SAI (Sistema di Accoglienza e Integrazione), siano essi Associazioni di Terzo Settore, Realtà ecclesiali o Amministrazioni comunali, ben sanno che con 60 Euro al giorno a malapena e a costo di enormi sacrifici e rinunce da parte di operatori e ospiti si riescono a gestire centri con almeno 25 – 30 utenti. Ciò in virtù di acrobatiche economie di scala applicate ai costi fissi, alle utenze e ai costi accessori comunque presenti. Costi che, tra l’atro, a Como e per volere di questo stesso Sindaco sono stati recentemente aumentati per molte Associazioni da sempre inquiline di stabili di proprietà comunale.

Gli stessi sperimentati gestori, quando onesti, ben sanno come chi si avventura in simili circostanze, e il loro numero purtroppo sta crescendo in Italia, lo faccia non di certo per spinta etica e finalità filantropiche.

Così come chi ha esperienza nel campo dell’accoglienza ben sa che le competenze per operare in favore di minori stranieri, per di più non accompagnati, siano alquanto peculiari e diverse da chi genericamente “lavora” con adulti; che le responsabilità, morali e penali, aumentano; che l’operatività continuativa, per orario e giorni lavorativi, con utenti non certo di facile gestione, non è una passeggiata alla portata di molti.

Meglio, però, che tutti ben sappiano anche che stipendi e retribuzioni nelle realtà sociali sono spesso calmierati per ancora una volta perseverare in quel “brutto vizio” di garantire comunque le risorse disponibili per l’efficienza del servizio erogato; per sopperire all’insensibilità del normatore pronto ad elogiare i volontari e a screditare la professionalità degli operatori sociali; a sottostimare, non certo a parole quanto nei fatti, il ruolo insostituibile delle loro organizzazioni di appartenenza; a volte ad accusarle di intrigo, connivenza o accondiscendenza con registi e protagonisti di quello che un Ministro, sempre più fantascientifico, identifica in un “atto di guerra” contro il nostro Paese.

Ha ragione Molteni quando riconosce “gli sbarchi” come un “problema grave e oggettivo”. Hanno ragione gli operatori sociali che, prima di lui e da anni, chiedono di “mettere mano alla normativa”. Ha ragione il Sindaco di Como a diagnosticare una città (ora) “al collasso”. Personalmente, tuttavia, credo che ancora una volta si dimostri la necessità urgente, incontestabile, irrinunciabile, perentoria di affrontare questa realtà di fatto che, piaccia o meno, ci accompagnerà nei prossimi tempi, con un approccio partecipativo, sovra-campanilistico, trasversale e, come si direbbe, “di sistema”. Sia per le revisioni delle normative nazionali, sia per la soluzione dei problemi locali.

Auspico che “reagire con ogni mezzo, nessuno escluso”, come “tuonato” dal capitano dell’Enterprise leghista, porti ad innescare una reazione corale, concordata, coinvolgente, inclusiva. Insomma che la soluzione al “problema oggettivo” possa essere ricercata assieme alle realtà che sul territorio hanno maturato l’esperienza e dimostrato la disponibilità per individuare una prospettiva sostenibile e condivisa. Senza dimenticare o, peggio, ignorare la necessità altrettanto impellente di far maturare una nuova visione dell’inevitabile convivenza delle diversità, un umanesimo solidale, una vissuta solidarietà e una più razionale, meno istintiva reazione in una cittadinanza ancora impressionata da fantasmi e spettri proiettati ad arte da chi tutt’ora vuole barricarsi dentro un castello senza mura, dietro contrafforti perforabili, attorniato da un fossato inevitabilmente attraversabile.

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