5 settembre: Giornata Internazionale della Carità

Non solo aiuto a chi soffre, ma azione politica di pace e di giustizia”. Con queste parole pubblicate su “Buone Notizie” del Corriere della Sera, Luciano Gualzetti, primo Direttore laico di Caritas ambrosiana, mette il dito nella piaga di un Terzo Settore che spesso si ferma a “una carità che identifica la soluzione con la prestazione”.

Istituita dalle Nazioni Unite nel 2012, giorno della morte di Madre Teresa di Calcutta avvenuta il 5 settembre 1997, la Giornata Internazionale della Carità deve essere occasione per riflettere sul ruolo giocato dalle realtà sociali nella lotta alle povertà, all’emarginazione e all’esclusione crescenti dentro una società che potrà anche “correre di più”, ma non a prezzo di trasformare alcune sue componenti in scampoli e brandelli dispersi per strada di un tessuto di broccato cucito su misura per sempre meno persone.

Perché la Carità sia efficace, concordo pienamente con Luciano, deve rimuovere le cause delle povertà e non dare per carità quello che è previsto per giustizia. Solo così, questa la finalità ultima dell’agire sociale, i poveri non avranno più bisogno del pur necessario soccorso che siamo tenuti ad offrire loro nell’immediato.

Mi sono trovato spesso a riflettere, nei ruoli ricoperti a livello nazionale e in particolare quale componente del Coordinamento Nazionale del Forum del Terzo Settore, sulla potenziale forza d’urto che il Terzo Settore potrebbe acquisire giocando appieno il suo tratto costituente di soggetto politico. Ancor di più oggi, quando l’indagine “L’offerta dei servizi sociali del Terzo Settore”, pubblicata da INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche) lo scorso marzo 2023, registra un incremento degli Enti erogatori di servizi sociali che passano dai 18.971 del 2016 ai 33.973 del 2020. La parte del leone la fanno le Associazioni di Volontariato (39.1%) e le Cooperative e Imprese sociali (35.6%), enti che erogano servizi a 1.1 milioni di famiglie, ovvero a circa 3.5 milioni di italiani.

Numeri e realtà impressionanti. In grado, lo volessero sinergicamente, di condizionare o addirittura determinare le politiche sociali del nostro Paese. Capaci di costruire un futuro più giusto, se sposassero convintamente quel pensiero sintetizzato da Gualtieri che da decenni rimane soffocato nelle quotidiane acquiescenze all’elemosina del Pubblico e alla beneficenza pelosa del privato. Abilitati a costruire un fronte trasversale dentro i Palazzi, se sapessero ripensare quei meccanismi di espulsione di forma e di sostanza di chi, passando “all’altra sponda” per giocare in un ruolo diverso, viene abbandonato, ripudiato, evitato se non ottenere l’ennesima piccola, parziale e miope concessione o per oliare i meccanismi distributivi della questua statale.

Mimetizzato dentro una farisaica “autonomia”, il cancro del collateralismo di facciata metastatizza a velocità crescente destrutturando le cellule visive di molti non più capaci di leggere la realtà nella sua complessità; le povertà come conseguenze di diffuse ingiustizie articolate, interdipendenti, radicate nel perbenismo filantropico dominante e alimentato da politiche ripaganti.

La presunzione di far meglio degli altri, l’assolutizzazione di bisogni particolari, piegano l’agire sociale a logiche concorrenziali ostinatamente, orgogliosamente mutuate da quell’altra cultura del profitto ormai insinuata nelle strategie propagandate a suon di forbiti, irrinunciabili quanto insopportabili inglesismi. Le piccole dimensioni economiche e i circoscritti, ristretti campi di azione della maggior parte delle associazioni assumono l’altezza e la robustezza di baluardi inespugnabili anche dalle più evidenti esperienze di molta comprovata inefficacia o dei raramente constatati risultati inimmaginabili conseguiti con alleanze, sinergie, collaborazioni e, appunto, visione e azione politica.

Ognuno assuma il proprio pezzo di responsabilità per cambiare le condizioni e rimuovere le cause strutturali che oggi portano i poveri a chiedere aiuto e domani, inevitabilmente sic rebus stantibus, altri ancor più numerosi a prendere il loro posto.

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