In Italia, triplicano i poveri e raddoppiano i patrimoni degli ultra-ricchi

I dati presentati da Fondazione CARIPLO nel suo “Primo Rapporto sulle disuguaglianze” sono sconcertanti: i poveri nel nostro Paese sono passati da 1.9 milioni nel 2005 agli attuali 5.6 milioni.

Sono numeri che inchiodano le governance di ogni estrazione e colore a tutte le loro responsabilità, dato che tutte dovrebbero agire nell’alveo della nostra Costituzione che all’articolo 3 chiarisce come “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.

Le armi di distrazione di massa da sempre utilizzate per distogliere e sviare l’attenzione da un problema fondamentale come questo ormai si sprecano. Riempire la comunicazione di parole e promesse inneggianti la crescita economica, il benessere e lo stato di salute del Paese non fa che aggravare la colpa del non aver saputo porre rimedio, o almeno un argine, alla deriva provocata da una simile crescente discriminazione.

In effetti, come spesso ci viene ricordato da ogni parte, i dati relativi alla ricchezza dell’Italia nel periodo citato sono in crescita; gli indicatori economico-statistici registrano un aumento significativo della ricchezza complessiva. Purtroppo, la famosa storiella del “pollo diviso in otto persone” non ha ancora fatto scuola e viene dai più dimenticata.

Infatti, la crescita di questo ultimo ventennio si concentra ancor di più in un esiguo numero di possidenti appartenenti a quel 1% di italiani che hanno incrementato i loro conti in banca, contrapposti da un ceto medio che, nonostante le bufale in circolazione, mantiene il suo stato economico tutto sommato entro variazioni contenute, e a quel numero scandaloso di persone che vertono in povertà assoluta o relativa. Il 50% più povero della popolazione ha visto ridursi la propria quota di patrimonio dal 10.2% al 2,5%; lo 0.1% degli ultra ricchi l’ha incrementata da 5.5% a 9.2%.

Più ci si addentra nella lettura del Rapporto, più aumenta la consapevolezza delle scelte politiche compiute, o del laissez faire ammesso. Come se quanto sopra non bastasse, nel Rapporto di può testualmente leggere che:l’Italia rappresenta davvero un’eccezione rispetto agli altri Paesi (europei n.d.r.) è nella dinamica del rapporto tra il valore del patrimonio rispetto al reddito. In sostanza, mentre le entrate annue delle famiglie ai diversi livelli di reddito hanno seguito tendenze non molto diverse dalle medie europee, l’anomalia del nostro Paese riguarda la ricchezza finanziaria e immobiliare dei privati. Essa è fortemente cresciuta, in proporzione ai redditi”; e ancora: “per i contribuenti più ricchi, il reddito percepito non deriva prevalentemente da redditi da lavoro, ma da altre tipologie: redditi finanziari, canoni di locazione immobiliare, redditi da lavoro autonomo e d’impresa, redditi che notoriamente sfuggono alla progressività dell’Irpef e sono soggetti ad aliquote sostitutive nel complesso più basse. Come detto, all’aumento della quota di redditi percepiti dai più ricchi, si è ridotta la quota percepita dalla metà della popolazione che percepisce redditi più bassi”.

Purtroppo, sembrerebbe che alcune ultime misure adottate dal Governo in carica tendano ad accrescere le divaricazioni rilevate. Come nel caso della questione del noto criterio del merito nell’educazione scolastica dei ragazzi. Dato il Rapporto ben evidenzia come il livello di istruzione, l’abbandono scolastico e la scuola in quanto tale manifestino un altissimo coefficiente di correlazione con gli indici e la distribuzione delle povertà, mi sembra alquanto puntuale la denuncia del Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, card. Matteo Zuppi, all’evento di presentazione del Rapporto, quando ha fatto notare che si può parlare di prevalenza del merito solo in una società che abbia assicurato se non proprio l’eguaglianza,  quanto meno la compatibilità tra le condizioni di partenza del giovane e della persona che si presenta alla gara sociale; e in Italia, queste condizioni di partenza sono sempre più lontane. 

Ritengo quindi indispensabile per la politica di ogni ordine e grado concentrarsi su questo stato di cose per porre rimedi efficaci e tempestivi, ovviamente sempre che si voglia agire per il bene del Paese. Ed essendo tenacemente da sempre convinto che la società civile, sia in forma individuale che organizzata, svolga volente o nolente un ruolo politico, cito volentieri quanto dichiarato dal Presidente di Fondazione CARIPLO Giovanni Fosti allo stesso evento di presentazione: “Se vogliamo scardinare la dinamica dove chi ha poche opportunità è destinato ad averne sempre meno non possiamo attendere che siano proprio queste persone a prendere l’iniziativa, ma dobbiamo deliberatamente e tenacemente “andare a cercarle”. In altre parole, siamo convinti che davanti a questa disuguaglianza di possibilità sia necessario passare da un atteggiamento di attesa a uno di iniziativa. Questo atteggiamento proattivo emerge come un metodo necessario di fronte a una disuguaglianza di futuro sempre più pericolosa per le nostre persone, per il nostro Paese e per la nostra democrazia, e rappresenta la chiave di volta per liberare potenzialità e offrire occasioni di crescita realmente accessibili.

Mi rendo conto che, nel clima culturale oggi diffusamente dominante, evocare concetti come uguaglianza, libertà, distribuzione della ricchezza, scelta preferenziale per i poveri, regolamentazione del mercato, ecc. possa suonare a molti come un rigurgito di vetero-ideologia . Per questo, e per fugare ogni dubbio in merito, dopo aver citato personaggi e istituzioni di certo nemmeno lontanamente assimilabili a tali matrici culturali, voglio concludere con un’ultima utile citazione che potrei considerare il punto 1 di un buon programma politico. Papa Paolo VI, nell’Enciclica Populorum Progressio pubblicata nel “remoto” 1967, al paragrafo 23 così ammoniva: “La proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto. Nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario ….. Ove intervenga un conflitto “tra diritti privati acquisiti ed esigenze comunitarie primordiali”, spetta ai poteri pubblici “adoperarsi a risolverlo, con l’attiva partecipazione delle persone e dei gruppi sociali”.

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