Carne sintetica, OGM, NBT: facciamo un po’ di chiarezza

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Il divieto di importazione e produzione di carne sintetica approvato dall’ultimo Consiglio dei Ministri mi trova pienamente d’accordo. Ritengo ogni misura atta a salvaguardare la nostra salute doverosa ed opportuna da parte dei decisori di ogni livello e grado.

Tuttavia, qualche riflessione si impone rispetto alle motivazioni addotte dal Ministro per l’Agricoltura, la Sovranità alimentare e le foreste Lollobrigida. Non a caso, ho appena benedetto questo atto unicamente in nome della preservazione della salute umana. Diversa sarebbe la mia valutazione se, come si sente dichiarare da più parti in queste giornate, la condivisione di questo provvedimento è sottesa dai pur legittimi interessi economici e/o di categoria, ma più opinabili sul piano etico dei diritti e contrastabili da altrettanti interessi di parte.

Provo a spiegarmi.

La motivazione addotta dal Ministro Lollobrigida e dal Governo intero, si rifà al cosiddetto “Principio di precauzione” introdotto per la prima volta nel Diritto internazionale nel lontano 1992 con la Conferenza UNCED di Rio de Janeiro. Ovvero si tratta, per tradurlo in terminologia comune e più comprensibile per i non addetti ai lavori, di quella prudenza dei padri e delle madri di famiglia che, nel dubbio circa la pericolosità di una situazione, scelgono di impedirne l’avvento a tutela dell’integrità dei propri figli. Per esemplificare: se si vede un bambino sporgersi da un balcone, non si sta ad attendere la sua eventuale caduta, piuttosto si interviene immediatamente per ritrarlo in sicurezza. Al di là delle prove e delle certezze supposte e oltre il calcolo delle probabilità circa gli esiti possibili.

Di conseguenza, una volta in più d’accordo e felice della decisione assunta, resto riflessivo nei confronti delle perplessità sollevate da esimi scienziati in merito alla introduzione della carne sintetica prodotta con processi artificiali basati sulla riproduzione in laboratorio di cellule staminali.

Se il principio adottato nella fattispecie è quello di “precauzione”, stupisce l’incoerenza con la quale tale principio non viene analogamente evocato ed applicato per altre tecnologie e innovazioni scientifiche tranquillamente ammesse dagli stessi legislatori nazionali. Come, ad esempio, nel caso delle derrate alimentari e delle sementi geneticamente modificate (OGM). In questi casi, compagini governative passate e la stessa maggioranza parlamentare attuale, hanno ripetutamente invocato, al contrario del casus “carne sintetica”, un libertismo sviluppista arrivando, addirittura, a bollare di oscurantismo i delatori delle pratiche di manipolazione genetica del genoma naturale, sia esso vegetale o animale.

Mi sono trovato spesso annoverato, mio malgrado, in questa categoria degli oscurantisti e dei nostalgici oppositori al progresso scientifico. Nella mia veste di Presidente del Comitato Italiano per la Sovranità Alimentare, indebita definizione sulla quale abbiamo già riflettuto in questo spazio, ho convintamente sostenuto la Campagna “No OGM” sposata da oltre 300 realtà di società civile italiane tra le quali, oltre alle immaginabili associazioni ambientaliste, anche da importanti associazioni di categoria quali i Sindacati confederali, l’Associazione italiana Allevatori, Slow Food e perfino dalla Coldiretti. Quella Coldiretti che, nella sua dirigenza attuale, sostiene la misura governativa sopra citata unicamente in virtù del danno economico che l’introduzione della carne sintetica arrecherebbe ai produttori italiani e alla tipicità delle loro produzioni. Dimenticando, cioè, il fondamento oppositore della possibile lesione di un diritto fondamentale come il “diritto alla salute”, sacrificato, ancora una volta, all’altare di criteri economici.

Gli OGM, si sappia, sono oggi ammessi e largamente utilizzati sia nelle coltivazioni agricole, sia in svariati alimenti distribuiti in gran parte dalla grande distribuzione (GDO) che accomuna la totalità delle grandi catene di supermercati e, ovviamente, dalle grandi multinazionali produttive del comparto agroalimentare.

Ci sono voluti anni, e ancora oggi con risultati non del tutto soddisfacenti, per almeno ottenere l’esplicitazione della presenza o meno di OGM sulle etichette dei prodotti commercializzati. Una misura minimale per almeno consentire scelte consapevoli da parte dei consumatori finali e, per noi, leva per agire sulla necessaria educazione ad un consumo responsabile ritenuta arma potentissima per arginare lo strapotere dei poteri condizionanti i nostri stili di vita. Come nel caso più eclatante della soia: è risaputo che oltre il 90% della soia prodotta a livello mondiale, proviene da sementi sottoposte a processi di manipolazione genetica quindi, considerando la quantità di prodotti contenenti questo legume oggi commercializzati, facile trarne le dovute conseguenze. 

Meno evidente, o se si vuole più subdolo, il problema relativo ai prodotti NBT (New Breeding Technique). Il tentativo in atto di aggirare le normative internazionali in vigore evitando l’esplicito riferimento a tecniche di modificazione genetica, come opportunamente denunciato da AIAB (Associazione Italiana Agricoltura Biologica), è l’ultima escogitazione trovata per favorire e impinguare i guadagni miliardari di chi controlla il commercio mondiale di prodotti agroalimentari. Il grimaldello trovato con le NBT, è quello che consente di fatto la sperimentazione in pieno campo di prodotti chiamati in modo diverso, ma che la Corte europea di Giustizia non ha avuto dubbi nel definirli come, di fatto, veri e propri OGM. Dichiara infatti la Corte: “Gli organismi ottenuti mediante tecniche o metodi di mutagenesi devono essere considerati come OGM ai sensi dell’articolo 2, punto 2, della direttiva 2001/18…”.

Senza procedere oltre in tecnicalità specifiche, come sarebbe opportuno fare in merito alla contaminazione genetica che le sperimentazione in pieno campo di sementi OGM provoca sulle colture tradizionali circostanti, vorrei ricondurre questa riflessione su di un fatto fondante: ancora una volta, la carne sintetica ci pone di fronte ad un evidente tentativo di mascherare una pur giusta decisione con intenti nobili, ma che non trova altra giustificazione se non nel potere che le lobby di categoria esercitano sui decisori politici e, in fin dei conti, nella supremazia degli interessi economici su diritti e principi fondamentali che dovrebbero essere la bussola dei governanti di ogni colore e ad ogni ordine e grado.

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