Fame e povertà sono insopportabili scandali, rimovibili a patto di …..
Questa settimana è stata contrassegnata da due giornate che la comunità internazionale ha voluto incentrate su due scandali che ancora si perpetuano ai giorni nostri. Mercoledì 16 Giornata mondiale dell’alimentazione e giovedì 17 Giornata mondiale per lo sradicamento della povertà.
I luoghi comuni, le disinformazioni, le notizie propagandistiche, l’interpretazione strumentale dei dati, l’egoistica indifferenza, le distrazioni di massa e altre manipolazioni del caso hanno contribuito alla formazione di un callo imperforabile che avvolge le coscienze di molti di noi che il caso ha voluto appartenessimo a quella minoranza privilegiata del mondo che vive come se quelle due illegalità, perché tali dovrebbero essere considerate la privazione di cibo e l’estrema povertà, non esistessero, fossero inevitabili, siano la normale conseguenza del cosiddetto sviluppo, il prezzo da pagare, ovviamente da parte di altri, per il progresso di un piccolo mondo “proprietà” di meno di un quinto dell’umanità.
Un callo che non provoca nemmeno più dolore, non comporta zoppicamenti e titubanze nella indefettibile camminata di pochi verso la prosperità, non suscita nemmeno fastidio tanto ci siamo assuefatti ad uno status quo di comodo, incurante del destino altrui, neuroleso dalla tronfiaggine di dati interpretati “ad cazzum”, argomenti, digressioni e dispute sulle variazioni minimali del PIL e della crescita delle economie del “nostro” mondo, obnubilati come siamo dall’obesità fisica e mentale di una memoria persa di passate privazioni affogate nel grasso che cola dal nostro modo di vivere moderno. Tuttalpiù e in particolari occasioni il callo invia un pallido ed estemporaneo impulso ai portafogli rigonfi pronti ad aprirsi e placare le già sopite coscienze incapaci di guardare e commuoversi – nel senso etimologico del “mettersi in movimento e agitarsi” – per come stanno veramente le cose.
E le cose stanno che la produzione di cibo odierna potrebbe soddisfare le esigenze alimentari di 9 miliardi di persone; circa 2 miliardi di persone sono malnutrite e il tasso di obesità negli USA ha raggiunto il 48%, il 28 in Gran Bretagna e il 18% in Italia; la ricchezza dell’1% dei paperoni contemporanei supera il reddito di tre quarti dell’umanità e nel nostro Paese l’1% di italiani ha un patrimonio netto 84 volte superiore a quello del 20% più povero ; 48 Paesi poveri spendono più per pagare gli interessi sul debito che per istruzione e sanità, obbligati a sostenere tassi di interesse quattro volte superiori a quelli imposti ai Paesi sviluppati come l’Italia o sei-dodici volte più alti di quelli applicati alla Germania; ogni giorno le transazioni finanziarie operate nelle borse mondiali procurano fortune miliardarie nelle tasche di spregiudicati speculatori per poi essere redditiziamente accumulate nei paradisi fiscali esentasse; la povertà assoluta aumenta anche nel nostro Paese fino a toccare un tasso del 9,7%, ovvero 2,2 milioni di famiglie o 5,7 milioni di individui o ancora 1 italiano su 10, che dir si voglia, e a dispetto delle propagande farlocche ed imbonitrici circa la crescita economica; percentuale che sale vertiginosamente ad un 30,4% per le famiglie composte da almeno uno straniero, ad insinuare il dubbio che il valore della famiglia dipende dalle sue composizioni cromatiche.
Le cose stanno che la thatcheriana teoria dello “sgocciolamento” (“trickle down“), sposata da buona parte di economisti e governanti attuali, non ha minimamente funzionato. Il cardine di tale teoria, ovvero che una volta colmato il vaso della ricchezza dei Paesi sviluppati questi inizierà a traboccare lenendo le povertà degli esclusi – evidenzia il paradosso per il quale nonostante il suo evidente fallimento, dimostrato dal continuo esponenziale aumento delle povertà, le convinzioni dei tanti teorici, decisori, manager e governanti seguaci della ex premier britannica rimangono granitiche.
Le cose stanno che pur nella consapevolezza della complessità delle soluzioni e nella necessaria assiduità di ricerca, l’insopportabile assuefazione agli scandali di fame e povertà richiede una “commozione” diffusa, un “agitarsi” quanto occorre, un “mettersi in movimento” senza ulteriori dilazioni, né mediazioni perbeniste. Occorre “commuoversi” orientati da decenni di fallimenti, di sbilanciamenti crescenti tra ricchezze e povertà, di spreco di risorse e di parole, di dati offuscati, di richieste soffocate anche nel sangue, di implorazioni disperate e grida strazianti di miliardi di impoveriti e affamati da secoli di sfruttamento mai risarcito nemmeno con la quota di interessi dovuta per il possesso dei capitali indebitamente, quando non criminalmente, sottratti. Occorre “commuoversi” nella ricerca di soluzioni rintracciabili percorrendo il versante della distribuzione delle risorse, delle pari opportunità, dell’etica del bene comune, dell’interdipendenza dei destini umani delle economie e delle scelte politiche, più che non aggrappandosi agli appigli ormai consunti della “via” che illusoriamente culmina in un’ulteriore, illimitata, belligerante, depauperante crescita della ricchezza.
Tra le istituzioni volute alle Nazioni Unite, vi è lo “Special Rapporteur on extreme poverty and human rights” incaricato di elaborare dati, proporre soluzioni e sollecitare politiche, interventi ed azioni dei governi nazionali efficaci nello sradicare l’estrema povertà e tutelare e promuovere ogni dove i diritti umani per tutti. Lo scorso mese di luglio, in occasione della riunione del Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU, Olivier de Shutter, attuale Rapporteur con il quale ho avuto il privilegio di collaborare maturando la convinzione circa la sua rettitudine ed imparzialità nello svolgimento di questo delicatissimo compito, ha presentato il suo Rapporto annuale sullo stato della fame e della povertà nel mondo.
La complicata ricerca delle non facili soluzioni a questi problemi, povrebbe orientarsi alle ferme raccomandazioni contenute nel Rapporto di de Shutter e finalmente ispirare un necessario ed urgente cambio di paradigma e una profonda riforma del modello economico sin qui e ovunque perseguito.
Si legge nel “sommario” di questo Rapporto: “L’approccio dominante per combattere contro la povertà risiede nell’incrementare i risultati aggregati dell’economia (misurati ad esempio con il PIL), combinati con la ridistribuzione post-mercato attraverso le tasse e i trasferimenti ….. tuttavia, l’attuale focus sull’incremento del PIL è fuorviante … l’ideologia dello “sviluppismo” non deve distrarre dalla urgente necessità di fornire maggiori beni e sevizi che migliorino il benessere e riducano la produzione di quanto non necessario e nocivo. Sino a quando l’economia sarà principalmente orientata alla massimizzazione del profitto essa risponderà alla domanda dei gruppi più ricchi della società, che conducono a forme estrattive di produzione che peggiorano l’esclusione sociale …. fallendo nel soddisfare i diritti di chi in povertà. Muovere …. verso un’economia basata sui diritti umani è possibile … e necessario.”
Cibo in qualità e quantità adeguate, risorse economiche sufficienti ad una vita dignitosa, pari opportunità per tutti non sono privilegi riservati a pochi, non una facoltativa concessione di presunti possidenti i destini del mondo, nemmeno una patologia congenita dello sviluppo, ma ed ineluttabilmente diritti umani fondamentali da garantire universalmente ad ogni componente della famiglia umana.
Ora.