Se il diritto vale solo quando ci riguarda
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I deliberati attacchi alle basi UNIFIL ordinati dal Governo Netanyahu hanno, forse, definitivamente convinto anche i più prudenti a prendere le distanze da un capo di stato ormai fuori controllo, delegittimato dalla maggioranza dei suoi, in preda ad una sorta di delirio di onnipotenza come ultimo tentativo di garantirsi una chimerica stabilità di governo o di perseguire il mostruoso sogno dell’egemonia sionistica nella regione.
Ancora una volta le reazioni dei governi occidentali sono state provocate dall’infrangimento del sempre citato “diritto internazionale”, guarda caso impugnato quando ci vanno di mezzo compatrioti e interessi nazionali. Non di fronte alle stragi di innocenti, non dopo bombardamenti su centri abitati, non alle immagini di civili massacrati dall’una o dall’altra parte. O, forse, più dall’una che dall’altra parte. Forse più quando per mano di una più che dell’altra parte.
Non è un caso che tra le reazioni più decise e le condanne più lapidarie dell’ultimo, ad oggi (!), crimine di Netanyahu risalti quella del nostro Governo costernato e risoluto per i militari italiani feriti negli assalti alle basi ONU. Non che sia da biasimare. Al contrario. Piuttosto verrebbe da interrogarsi sulle reali conseguenze di tali condanne verbali. Così come non sembra un caso il silenzio imbarazzante dei due contendenti la presidenza USA, preoccupati del risicato scarto di consenso in vista del prossimo 5 novembre per il quale anche un solo voto potrebbe fare la differenza.
In passato, almeno, a fronte di simili palesi violazioni del diritto internazionale non si è esitato ad adottare uno dei pochi, forse unico strumento a disposizione di chi teoricamente incaricato di applicarne le regole pur in un continuo, reiterato e deliberato depotenziamento della sua autorevolezza e della sua efficacia operativa. In altri contesti belligeranti, lo strumento dell’embargo si è dimostrato, pur con i suoi evidenti limiti, una azione non priva di risultati. Ma tant’è: il confronto tra “la forza” che può essere unilateralmente utilizzata da un singolo governo paragonato agli strumenti concessi alle forze multilaterali dell’ONU è impietoso sia dal punto di vista dei vincoli decisionali, sia da quello delle risorse umane e materiali ad esse fornite dai singoli Stati.
L’indignazione, la condanna, le “minacce” pronunciate in questi giorni dai più, cozzano con l’incoerente continuità nella fornitura di armi a Israele che negli ultimi due anni, per fare un esempio casalingo, è costata al bilancio pubblico italiano poco meno di 32 milioni di Euro. Presa di posizione altrettanto incoerente con il florido import-export tra Roma e Tel Aviv incurante di quanto accaduto in quella terra prima e dopo il 7 ottobre ad opera di una e dell’altra parte belligerante e delle alterne violazioni del tanto evocato diritto internazionale.
Attaccare una missione delle Nazioni Unite è “crimine di guerra”: così recita il diritto internazionale. Bollare l’ONU di essere una “palude antisemita” e una “società terrapiattista anti-israeliana”, come fatto da Netanyahu all’ultima Assemblea delle Nazioni Unite, e dichiarare il suo Segretario Generale “persone non gradita” in Israele un sintomo di delirio allo stato puro. Assumere prese di posizione vere, concrete, universalmente condivise, immediate ed efficaci è quanto ci si aspetterebbe da leader autorevoli, disinteressati, incorruttibili. Ancor più stante il mandato di arresto emesso a maggio di quest’anno dalla Corte Penale Internazionale per il leader israeliano e alcuni suoi ministri come per, occorre precisarlo, per i tre principali dirigenti di Hamas.
Ad oggi, nella guerra in Medio Oriente sono stati ammazzati 12mila combattenti e 30mila civili Palestinesi, 1.500 israeliani. Un intero Stato, quello di Palestina, completamente raso al suolo. Che almeno il ferimento di 4 militari italiani impegnati nella missione UNIFIL e gli attacchi alle sue basi siano “l’occasione” di un ravvedimento generale verso ciò che da tempo richiede una possibile soluzione a tutte le guerre e tutti i conflitti in essere nel mondo: un immediato, deciso, drastico blocco del commercio delle armi e un investimento poderoso, sincero, riformatorio e definitivo dell’architettura della governance globale quale unica barricata opponibile alle folli ambizioni dei criminali di turno e ai deliranti inneggiamenti a nazionalismi fuori tempo.