250 dollari il prezzo di uno stupro

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La notizia è di quelle che mettono i brividi: la OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha deciso di risarcire con 250 Dollari le donne stuprate tra il 2018 e il 2020 nella Repubblica Democratica del Congo da suoi operatori impegnati in loco nella campagna di lotta alla pandemia “Ebola”.

250 dollari: il prezzo ritenuto congruo per sanare, archiviare, bypassare le responsabilità di un crimine di tale portata. Come se la dignità di una donna fosse monetizzabile e per di più rapportata al suo tenore di vita; se i risarcimenti fossero commisurati non alla gravità del reato, ma alla condizione economico-sociale della vittima. Come se, ancora una volta, chi cavolo se ne frega delle donne africane: loro mica invadono le piazze con imponenti manifestazioni; non scandalizzano il benpensantismo dell’opulenza; non chiedono conto al governo di turno, né la testa dell’aguzzino. La loro voce, le loro grida di dolore, la loro ribellione all’ennesimo sopruso non arrivano alle nostre orecchie otturate dal cerume del nostro solidarismo provinciale; non scalfiscono il nostro sentimentalismo vicinale; non accendono l’indignazione popolana.

Non è il primo caso acclarato di simili soprusi. Senza scomodare storie del passato remoto, comprovatamente grondanti del sangue di donne inermi, basta ricordare, ad esempio, come all’epoca delle forze multinazionali di interposizione accorse per infrapporsi trai combattenti l’ultima guerra nei Balcani, gli osservatori dei diritti umani denunciarono l’inequivocabile correlazione del numero degli stupri, della crescita della prostituzione e delle patologie sanitarie ad essa collegate con la presenza dei militari stranieri. Complice il significativo grado di disperazione di chi disposto ad arruolarsi volontariamente nei cosiddetti “Contingenti di pace”, sicuramente attratto dai nobili ideali della pacificazione globale ed altrettanto dalle laute remunerazioni economiche previste, i casi di sopruso, prevaricazione, prepotenza, violenza e veri e proprie sevizie sulle donne civili dei Paesi di destinazione di questi difensori della pace sono all’ordine del giorno in molti degli scenari che li vedono protagonisti.

D’altro canto, l’impunità, l’immobilismo e l’indifferenza diffuse quando le violazioni dei diritti fondamentali delle persone avvengono lontano dagli occhi e dagli scranni, di chi “conta”, di chi maneggia soldi e gestisce potere, di chi addirittura rivendica una superiorità culturale, incentivano questa criminalità che intreccia le radici con buona parte dei “conquistatori” della storia. Di quelli che hanno agito “in armi” come di quelli che, più subdolamente, ottengono oggi i medesimi risultati senza colpo ferire, avvalendosi di armamenti economici, finanziari e della copertura complice della lobby del potere globale.

Un esempio recente? La disputa di quest’estate tra il Pitt Rivers Museum di Oxford e le Comunità Masai della Great Rift Valley, l’area che si estende tra il sud del Kenya e il nord della Tanzania, in Africa. Dopo che per 138 anni il prestigioso museo britannico ha esposto, lucrandoci sopra, 148 antichi manufatti trafugati in epoca coloniale, a fronte della richiesta di restituzione avanzata dalla citata Comunità masai ha pensato di risarcire il danno inferto con 91 vacche. Anche per chiudere le polemiche in merito alla diversa interpretazione tra il Direttore del Pitt Rivers Museum e il Governatore locale circa le modalità con le quali i manufatti vennero portati a Londra. Per il primo, infatti, “l’esportazione” fu del tutto legale, sorretta da leggi in vigore e facilitata da missionari, antropologi, funzionari governativi … insomma, gente di tutto rispetto. Non così per i Capi clan Masai che, per voce del Governatore, denunciano omicidi, mutilazioni, violenze e rapine subiti dai legittimi proprietari di tali oggetti. Tanto, questi “baluba” nemmeno saprebbero apprezzare l’arte; non potrebbero esaltarne il valore; né condividere l’estasi della visione di simili capolavori. A loro basta e avanza avere vacche e capre.

250 dollari per uno stupro. 91 vacche per un furto di 148 opere d’arte. Poche centinaia di Euro per un weekend tutto compreso negli Eldorado del sesso. Poche decine per spegnere gli istinti con donne, meno fortunate di quelle adibite a pulire il piscio del nostro sviluppo, che i trafficanti di esseri umani hanno destinato allo sfruttamento sulle strade. Donne che se cadranno sotto la salviniana mannaia delle espulsioni saranno, per fortuna di alcuni, rapidamente rimpiazzate da altre, magari più giovani. Per le quali la minore età non è poi un problema così assillante, anzi!

Quel rosso delle scarpe dovrebbe essere il colore integrale della vergogna di “un mondo che va così”. Di quella vergogna che si dovrebbe indossare ogni volta che la comoda rassegnazione di questa frase soffoca la brace di giustizia che cova in ogni persona che umana vuole essere.

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