Le ONG ottengono un primo stop alle armi robotizzate

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La “Risoluzione L56” approvata dall’ONU lo scorso 12 ottobre passerà alla storia. Con essa, infatti, le Nazioni Unite hanno optato per il varo di una normativa internazionale che regoli, quindi per il momento sospenda, l’impiego di armi robotizzate sui campi di battaglia.

Dopo l’introduzione dei droni, inizialmente pensati come apparecchiature da ricognizione in aree di conflitto senza mettere a rischio l’incolumità dei piloti, ma poi sempre più utilizzati per azioni offensive, gli scienziati di guerra hanno messo a punto una vasta gamma di armamenti robotizzati raggruppati sotto la dicitura internazionale di LAWS (Lethal Autonomous Weapons System). Come avevo già commentato in precedenza anche su questo sito, i rischi connessi con l’utilizzo di tali apparecchiature belliche sono alquanto elevati. Il drammatico fatto di ieri, seppur accaduto in tutt’altro contesto, nel quale un operaio ha perso la vita stritolato da una apparecchiatura industriale robotizzata che lo ha “scambiato” per una scatola di verdure, ripropone tragicamente il problema della incapacità di queste armi di distinguere, ad esempio, tra personale militare e inermi civili quando entrano in azione.

Anche in conseguenza di queste considerazioni, fin dal 2017 la campagna Stop Killer Robots, promossa da un folto e autorevole gruppo di ONG internazionali tra le quali Pax Christi, Amnesty, Consiglio Mondiale delle Chiese, Human Rights Watch per citarne alcune di quelle più conosciute, sottopose all’allora neoeletto Segretario delle Nazioni Unite Guterres la richiesta di quanto meno regolamentare, se non proprio impedire, l’uso di queste nuove tecnologie di sterminio.

A distanza di sei anni, finalmente, l’Assemblea Generale ONU dello scorso 12 ottobre ha adottato a larghissima maggioranza la citata Risoluzione. L’Italia, insieme ad altri 163 Stati membri, ha votato a favore bloccando il tentativo di bocciatura operato dai 5 Paesi oppositori Belarius, India, Mali, Niger e Russia. A parte il piccolo gruppo degli 8 Paesi astenuti (Cina, Corea del Nord, Iran, Israele, Arabia Saudita, Siria, Turchia ed Emirati Arabi) per una volta il fronte dei governi responsabili ha potuto contare sullo schiacciante schieramento di ben 164 Stati.

La pressione, il lavoro e la tenacia delle ONG internazionali, insieme alla determinazione del Segretario Generale Guterres, hanno fatto sì che una decisione su una materia decisamente da Consiglio di Sicurezza fosse invece sottoposta all’Assemblea Generale nella quale non vige l’anacronistico potere di veto ancora ammesso nelle decisioni del Consiglio di Sicurezza del Palazzo di Vetro e che un Governo contrario come la Russia avrebbe potuto esercitare.

In un momento dove la follia omicida della guerra sembra non più contenuta nemmeno dalla moderazione della ragione e del rispetto delle vite innocenti, la L56 porta un piccolo ma significativo barlume di speranza per ancora battersi nella convinzione che la pace e la  tutela della vita umana siano la prima assoluta priorità di chi ha la responsabilità e il potere di incidere sulle sorti del mondo e con la certezza che la società civile organizzata, quando agisce convergendo su obiettivi condivisi, è in grado di ottenere risultati di altissimo valore e grande efficacia.

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