9 ottobre 1963 – ore 22.39

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Fare memoria di un accadimento dovrebbe servire a mettere un’altra tessera nello sconfinato, complicatissimo, indefinibile puzzle della storia ed offrirci un minuscolo ulteriore elemento di comprensione, o quanto meno di immaginazione, dell’imperscrutabile disegno dell’umanità in divenire.

Modificare la forma, le dimensioni, i confini o i colori di una di quelle piccolissime tessere si è sempre dimostrata impresa vana e deprecabile; buona solo per nascondere, fuorviare, distorcere, convincere, imporre letture di parte che alimentano scalmanate tifoserie sloganistiche o semplificatorio chiacchiericcio da bar; sottesa dalla cinica speranza che l’emersione della verità faccia ricadere le sue conseguenze su altri, dopo di noi, oltre il nostro vivere egoistico e narciso. A volte, giustizia impone che questa bieca speranza si infranga contro la tenacia di qualche cercatore di prove; fortuna vuole che di tanto in tanto il pentolame rimanga scoperchiato o che verità decida di porre termine e confine alla menzogna.

Che occorrano 6, 60 o 600 anni è il prezzo pagato nel lasciare mano libera agli abili manovratori che si celano dietro il mito del momento o dentro il cavallo di Troia della distrazione più abbagliante; che si muovono cavalcando ammalianti chimere o proiettando terrificanti ologrammi; che confezionano fumanti beveroni per la pancia scorreggiante del popolare bue.

La proverbiale italica smemoratezza fa sì che anche quando colmato tale iato temporale ancora si prosegua come se nulla fosse e nulla fosse stato. L’inamovibilità delle partigianerie, inconvincibile anche dalle più provate prove, unita – spesso – all’impenetrabilità delle corazze dell’individualismo e all’apatico immobilismo di un edonismo imperante, presta il fianco alla riproposizione imperterrita di altre nefandezze e di vecchie e nuove ingiustizie. Anche quelle causate dai più terribili sfruttamenti. Anzi, consentendo a manigoldi, speculatori, truffatori, evasori, corruttori, approfittatori e compagnia bella di godere dei frutti delle loro malefatte pagando, nella peggiore delle ipotesi, con qualche mese di confinamento domiciliare a quattro stelle o sborsando irrisorie prebende ad un sistema giustizialista con i disperati e lassista con ricchi, famosi e potenti. Per di più che, senza batter ciglia, consente loro di ripartire beneficiando del vantaggio illecitamente accumulato sugli onesti e faticanti comuni mortali.

Senza scomodare antiche questioni – come quelle dei 500 anni dalla redditizia conquista spagnola dell’America Latina; dei 5 secoli di integralismo inquisitorio e di caccia alle streghe; dei 200 della schiavitù alla base di buona parte dell’attuale prosperità americana; del colonialismo impoverente, delle occupazioni usurpatrici e depredatrici di tesori, capolavori, cultura e dignità che hanno fatto la fortuna di moderni magnati; dei decenni dittatoriali, delle epurazioni etniche, della supremazia razziale oggi sdoganati dal populismo perbenista; delle fortune miliardarie costruite sullo sfruttamento scriteriato e sfrenato delle risorse universali della terra e dello spazio – basterebbe rifarsi a ben più recenti, sciagurate congiunture.

Una loro elencazione esemplificativa contribuirebbe all’annichilimento generale arrecando offesa alle nostre capacità mnemoniche. Ciascuno può facilmente evocare eventi personali e tutti potremmo contribuire alla casistica delle situazioni affrontate collettivamente che hanno suscitato volontà temporanee e sconfessate promesse di cambiamento. Mai più! D’ora in poi …! Abbiamo capito! I più ricorrenti intendimenti pronunciati nel mezzo della burrasca svaniscono rapidamente con il ritorno della bonaccia e del mare calmo. Anche quando, provando ad alzare lo sguardo all’orizzonte, giochiamo d’azzardo con nuovi tsunami che si sperano più lenti del nostro placido ed opulento navigare.

Eppure, in quei maremoti abbiamo sperimentato la possibilità di vivere l’essenzialità; ci siamo per un attimo liberati delle inutili incrostazioni convenzionali; abbiamo riconosciuto le cose che davvero contano; gustato il sapore delle relazioni veraci; goduto dell’altrui solidarietà; compreso l’importanza delle diversità cooperanti; condivisa l’indignazione per le ingiustizie; in molti casi, contribuito alla ricerca del bene di tutti.

Sentimenti che durano quanto la pelle d’oca per le emozioni; comportamenti che modellano come il sussulto degli spaventi improvvisi, quelli che evaporano al soffio del quotidiano benestare e svaniscono con le sicurezze del piccolo cabotaggio.

La storia, la natura, il tempo e gli avvenimenti da sempre inviano segnali come messaggi, buoni o cattivi che siano, consegnati alla lettura ora immediata, altre volte meditativa. Ignoranza, grettezza, superficialità, supponenza e saccenza patiscono l’incapacità di tradurli in linguaggio utile agli umani, in siffatta maniera portati a perseverare in medesimi errori e reiterati egoismi.

Siano essi lanciati da una diga resa assassina dalla brama di denaro, da una pandemia sfuggita al controllo della scienza, dal repentino incremento e dalla tragica accelerazione dei cambiamenti climatici; dagli esiti imprevedibili e nefasti di una guerra di interesse, dalla ribellione incontrollabile alla disperazione o dalla rivolta istintiva all’emarginazione, mantengono valore se consegnati alla memoria di futuri destinatari in grado di preservarli dal ricordo emozionale, dalle commemorazioni di circostanza, dalle cerimonie evocative, dalle adunanze celebrative assumendoli come riferimenti fondanti delle piccole o grandi scelte quotidiane di un diverso modo di vivere e di convivere.

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