Se il populismo elettoralista calpesta il bene comune

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La salviniana, tragica proposta di una “grande e definitiva pace fiscale” è messa in ridicolo dal dato reso pubblico dall’Agenzia delle Entrate secondo la quale, nel solo 2022 si sono recuperati 20,2 miliardi di Euro di tasse dovute allo Stato. A dichiararlo è stato il Direttore dell’Agenzia Ernesto Maria Ruffini nel corso del convegno “Facciamo semplice l’Italia”, tenutosi a Roma domenica 16 luglio, dove ha anche riconosciuto come questo recupero dell’evasione sia stato “il più importante risultato di sempre”; semplicemente ottenuto con operazioni di ordinario controllo. Operazioni, va sottolineato, effettuate con un organico in capo all’Agenzia di 28mila unità (31 dicembre 2022) contro le 41mila in forza nel 2012.

Il nostro è un lavoro essenziale per il funzionamento di tutta la macchina pubblica – ha proseguito il Direttore Ruffini: se vogliamo garantire i diritti fondamentali della persona indicati e tutelati nella nostra Costituzione – la salute dei cittadini, l’istruzione dei nostri figli, la sicurezza di tutti noi – servono risorse e noi siamo chiamati a raccoglierle a vantaggio di tutti. Anche di chi si sottrae al loro pagamento”. Una lezione di rispetto delle regole impartita a quella facinorosa politica da incasso, interessata a raggranellare voti e rialzare le precipitate percentuali di preferenze piuttosto che governare il Paese alla luce di giustizia, equità e in vista del bene comune; una lezione di etica economica ai decisori che non sottace, per altri fini propagandistici, la fondamentale funzione dell’imposizione fiscale se si vogliono garantire servizi efficienti, equità e giustizia redistributiva; una lezione di deontologia comportamentale a chi spara vuoti slogan elettoralistici; una lezione di democrazia a chi si crede più furbetto di altri coperto e giustificato dalla autoritaria codardia di chi è debole con i forti e forte con i deboli.

Pace fiscale, taglio orizzontale delle tasse, flat tax, condono, innalzamento del contante, proroghe e concordati dei pagamenti: sono le parole d’ordine sostitutive di principi democratici e di fondamenti dell’etica politica; sono le bandiere di propaganda sventolate per catturare consenso; sono le “balle” e le pirotecniche promesse che da anni attirano voti come il vociare infantile tiene in gioco la disorientata mosca cieca.

Perché stiamo parlando di un credito a favore dello Stato che oscilla tra i 75 e i 100 miliardi di Euro. Cifra che rimane enorme, paragonabile a 3 o 4 Leggi di Bilancio, nonostante il decremento registrato negli ultimi anni: dai 107 miliardi del 2017, il dovuto dagli evasori scende a 99 miliardi nel 2019, attestandosi oggi attorno ai 75. A dimostrazione che con efficaci “ordinari controlli” e, soprattutto, con la volontà di attuarla, la lotta all’evasione può dare risultati tangibili.

Ma chi sono i principali debitori? Nonostante la Premier vorrebbe imputati questi insoluti alle grandi imprese multinazionali e alle società quotate in Borsa, le statistiche ufficiali (2019) rimandano una situazione ben diversa, collocando al primo posto gli importi evasi o elusi dagli assoggettati ai regimi di IRPEF (32 miliardi) e IVA (28 miliardi). Quelli che, per intenderci, secondo la Meloni sono incravattati dal “pizzo di Stato”.

Affiancando queste cifre ai cosiddetti “falsi minimi” – ovvero la sotto-dichiarazione del fatturato per beneficiare della tassa piatta al 15% riservata a chi dichiara meno di 65mila Euro/anno – e alla “evasione contributiva” – 12.7 miliardi di Euro per il 77% a carico del datore di lavoro e per il 23% imputabile al lavoratore dipendente – gli analisti stimano una propensione media all’evasione degli italiani ad una percentuale del 21.3% che, giusto per capirci, si confronta con un 6.9% registrato in Spagna, 7.4% in Francia, 8.8% in Germania, accomunando  il nostro comportamento medio a quello dei Greci e dei Lituani.

Le grandi multinazionali, tutt’altro che innocenti, giocano piuttosto su piani diversi, ricorrendo a ciò che tecnicamente viene definita “elusione fiscale”: fenomeno ben diverso dall’evasione con la quale, tuttavia, condivide l’obiettivo di sottrarsi in tutto o in parte al dovere di contribuire al finanziamento di servizi e beni pubblici mediante il pagamento delle imposte. Sono a tutti noti i trasferimenti delle sedi legali e le delocalizzazioni delle produzioni di molte multinazionali in Paesi con regimi fiscali e salariali più favorevoli. Magari, come capitato anche da noi, dopo aver ricevuto per anni incentivi, finanziamenti, prestiti e agevolazioni dalle casse pubbliche italiane ritenendo corretto, o almeno legittimo, migrare in un Paese del nord Europa. Questi diversi modi di sottrarsi alle fiscalità nazionali, costa all’insieme dei Paesi europei una cifra che si aggira attorno ai 200 miliardi di Euro.

Ora, considerata l’ineludibilità dell’algoritmo della progressività fiscale per il quale la maggiore compressione si riversa inevitabilmente sui ceti medi, principalmente costituiti dal popolo delle piccole e medie partite IVA; ritenendo folle un ulteriore accanimento sui ceti più poveri, illusoriamente difesi dalla propaganda di timonieri di carrocci e di tedofori ingiacchettati; scartando l’ipotesi di una ulteriore riduzione della spesa pubblica, perché sempre attuata ai settori deboli e ai servizi essenziali; altro non resta che volgere lo sguardo verso le ricchezze sovrabbondanti e i patrimoni spropositati.

Non a caso, un gruppo di prominenti economisti, ai quali si sono straordinariamente uniti anche alcuni “milionari” pronti ad essere tassati, ha lanciato in questi giorni un’iniziativa per la raccolta del milione di firme in almeno 7 Paesi necessario per depositare a Bruxelles un disegno di legge che preveda di “Tassare i grandi patrimoni per finanziare la transizione ecologica e sociale”. Riflettendo sul nostro Paese, credo sia ragionevole condividerne le ragioni: la ricchezza nelle mani del 5% più ricco degli italiani (titolare del 41,7% della ricchezza nazionale netta) a fine 2021 era superiore a quella detenuta dall’80% più povero dei nostri connazionali (il 31,4%). I super ricchi con patrimoni superiori ai 5 milioni di dollari (lo 0,134% degli italiani) erano titolari, a fine 2021, di un ammontare di ricchezza equivalente a quella posseduta dal 60% degli italiani più poveri. Ragioni che mi hanno portato senza indugio a sottoscrivere la petizione, anche perché non penso assurdo individuare in queste disuguaglianze qualche concausa del fenomeno denunciato dal “Report statistico 2023 di Caritas italiana” secondo cui il numero degli assistiti nei centri da essa gestiti siano passati dai 205.090 del 2016 agli attuali 255.957.

Credo che alcuni principi della democrazia contributiva e distributiva debbano essere fuori discussione: la progressività fiscale; la distribuzione del valore aggiunto della crescita economica; la ripartizione proporzionale degli oneri, unita ad una giusta distribuzione dei benefici sull’insieme della cittadinanza. Soprattutto, ritengo inalienabili, universali e non subordinabili i diritti fondamentali che ogni Stato è tenuto a garantire a tutti i suoi cittadini; senza distinzione alcuna; a partire da quel diritto ad una vita dignitosa che a nessun italiano, senza criterio alcuno, può essere negato.

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Un commento

  1. Caro Sergio, nel 1972 il mio capo diceva: prima di provarci pensaci, ma quando hai iniziato, insisti.
    Magari sarai “una voce nel deserto” ma oggi queste occorrono tantissimo. Secondo me esiste una maggioranza silenziosa che da una parte deve trovare speranza e dall’altra va stanata. Credi si trovi anche nelle cosiddette forse di maggioranza. Forza.