Bombe a grappolo e inaccettabili balbettii

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Ormai è ufficialmente ammesso: le bombe a grappolo (cluster bomb) sono utilizzate anche nella guerra russo-ucraina. Se sino ad oggi l’utilizzo di questi micidiali strumenti di morte rimaneva nel dubbio, peraltro alquanto fondato visti i precedenti dimostrabili sugli altri scenari di guerra in giro per il mondo, dall’inizio di questo mese di luglio la notizia è divenuta ufficiale. A partire dall’Amministrazione Biden che conferma le forniture da parte degli USA delle cluster bomb all’esercito ucraino: una “decisione molto difficile” secondo il Presidente USA, ma necessaria perché “a corto di munizioni … e ne avevano bisogno” visto anche “l’avanzamento più lento del previsto della controffensiva ucraina”, come asserito dal Portavoce della Casa Bianca.

Credo che tutti conoscono ormai bene la potenza mortale di questi ordigni. Suddivise in “antiuomo, anticarro e miste”, quest’ultime, come ad esempio le famigerate BLU97, capaci di proiettare numerose “submunizioni” perforanti, incendiarie ed esplosive. Le bombe a grappolo possono esplodere in aria, colpendo un bersaglio in volo e provocando una pioggia di morte, o detonare all’impatto con il suolo. Purtroppo, un’alta percentuale di esse non esplode, rimanendo nel terreno sino all’ignaro successivo contatto di qualche veicolo o, peggio, di qualche persona, comportandosi come le altrettanto famigerate e vietate “mine antiuomo” che, per molti anni a seguire le guerre, impegnano centinaia di eroici sminatori delle ONG, oltre che centinaia di milioni di Euro, per la bonifica dei territori.  

Anche per questo motivo, nel lontano 2008 la comunità internazionale ha adottato una Convenzione per la loro messa al bando, vietandone la produzione, la commercializzazione e l’utilizzo in tutto il pianeta. Proposta dall’allora Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, la Convenzione di Oslo, siglata a Dublino il 30 maggio 2008 e poi entrata in vigore il 1° agosto 2010, ad oggi è ratificata da 111 Stati membri ONU, ma tra questi non figurano importanti nazioni come USA, Russia, Cina, India, Pakistan, Brasile, Israele, Egitto, oltre che la stessa Ucraina.

A finanziare questo redditizio mercato di morte, ci pensano fior fiore di società e di istituti finanziari che, mediante finanziamenti diretti o emissione di prodotti derivati, lucrano sugli enormi profitti generati da un commercio, ahinoi, sempre fiorente. Società come JPMorgan Chase, Citigroup e Bank of America (USA), Mitsubishi UFJ Financial (JAP), China Construction Bank (Cina) ed altre meno conosciute in Italia con sede in Corea del Sud, Taiwan, Arabia Saudita, Russia, sono i principali sovventori dei produttori di bombe a grappolo. Secondo un Rapporto 2017, sono 166 le istituzioni finanziarie di 14 Paesi coinvolte a vario titolo nel finanziamento della filiera delle armi: un business stimato nei quattro anni precedenti in 31 miliardi di Dollari.

Fuori da questo elenco l’Italia. Dopo una serrata Campagna della società civile e una discussione parlamentare di sette anni, nel 2017 il Parlamento italiano ha approvato la leggeMisure per contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di mine antipersona, di munizioni e submunizioni a grappolo” votata pressocché all’unanimità. Da allora, anche le ultime citazioni di coinvolgimenti di istituti e società nazionali sono spariti da questa vera e propria Hall of Shame, unendosi agli 88 istituti finanziari che nel mondo, in modo differente, vietano gli investimenti nel settore.  

E da questo assunto che, scostandomi dai commenti e dalle reazioni letti in questi giorni, mi aspetterei una ben più decisa condanna da parte dei leader dei Paesi “virtuosi” rispetto alle pur “difficili” scelte statunitensi. Così, vorrei una Unione europea “meno sbandata”, come valutato ieri da Romano Prodi a Cesena. Non fosse altro che per dileguare il dubbio che per prendere posizione contro la scelta di Biden occorra essere il Premier di un Paese, come il Regno Unito, appena uscito dalla sua compagine; che prendesse posizioni chiare nei confronti di suoi Stati membri, come Grecia, Romania e Polonia, che ancora producono, o si riservano il diritto di farlo, armi cluster. Mi piacerebbe ascoltare parole inequivocabili di condanna dai leader che sostengono il Presidente brasiliano Lula, ancora complice di quella Avibras Industria Aerospacial, società privata che produce anche blindati, missili da crociera e veicoli spaziali come i razzi Astros e Astro II, che trasportano entrambi testate da 150 kg, ciascuna contenente 70 submunizioni esportati in Iran, Iraq, Malesia e Arabia Saudita.

Mi aspetterei che i nostri leader sfruttassero questa occasione per dimostrare la convinzione delle alleanze, ma al tempo stesso, l’indipendenza di pensiero, l’autodeterminazione delle scelte politiche e la primazia del diritto internazionale umanitario. Soprattutto, l’indiscutibile schierarsi dalla parte dei diritti e della salvaguardia delle persone con i fatti, oltre che a parole.

Affermazioni come “i Russi le usano da sempre”, come twitterato lo scorso 8 luglio dal Ministro Crosetto, non sono giustificatorie degne di un Paese che, come da lui stesso riconosciuto, ha aderito alla Convenzione di Oslo e ne “auspica l’applicazione universale dei principi”. Piuttosto, come facilmente prevedibile, altro non fanno che alzare la palla a Mosca che, coerentemente al suo stile cinico e criminale, ha ribattuto per bocca dell’Ambasciatore di Putin a Washington: “Washington continua ad alzare la posta in gioco. Tuttavia, l’attuale livello di provocazioni statunitensi è davvero fuori scala e avvicina l’umanità a una nuova guerra mondiale”.

La cultura di uno svizzero “neutralismo” non appartiene al nostro Paese, ma gli italiani non possono riconoscersi in una veterotestamentaria legge “del taglione”. Il novero di vittime delle bombe a grappolo viene stimato in oltre 6.000 persone all’anno. Militari e, molti di più, civili inermi e innocenti. Durante e dopo i combattimenti. Ormai in ogni parte del mondo.

Questo basta e avanza per dire solamente: “basta”.

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