8-5-2 x Mille: libertà da esercitare

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Con l’avvicinarsi delle scadenze previste per la presentazione delle Dichiarazione dei Redditi 2022, vale la pena richiamare le opzioni di libera scelta che tutti i cittadini italiani hanno a disposizione per destinare parte delle proprie imposte a cause specifiche e così dare un contributo attivo e fattivo al raggiungimento di obiettivi condivisi. Non senza alcune considerazioni di merito.

Innanzitutto, non si sa mai, ricordando le tre possibilità, ottenute con un impegno significativo delle Rappresentanze del Terzo Settore italiano, che lo Stato italiano offre ai suoi contribuenti.

Dell’IRPEF dovuto da ogni soggetto d’imposta:

8xmille: può essere destinato allo Stato o alle confessioni religiose che hanno aderito al protocollo d’intesa. Se non viene effettuata la scelta specifica la quota verrà devoluta automaticamente alla Chiesa Cattolica. È possibile scegliere una sola Istituzione.

5xmille: può essere destinato ad un solo Ente del Terzo Settore, della ricerca scientifica, universitaria, sanitaria, ad una sola associazione sportiva dilettantistica, oppure al Comune di residenza, indicando con la propria firma il Codice Fiscale del destinatario.  

2xmille: può essere invece destinato a favore di unsolo Partito Politico tra quelli iscritti nell’apposito registro, ognuno dei quali ha un suo “codice” che va indicato negli appositi spazi.

Nonostante questi strumenti di libera scelta siano offerti da diversi anni, stupisce come lo scarto tra conoscenza degli strumenti e la loro messa in pratica sia ancora oggi significativo. Prendendo ad esempio il 5xmille, da una indagine condotta da ASTRA Ricerche per conto della Lega del Filo d’Oro emerge che: tutti i contribuenti sono a conoscenza dell’istituto del 5xmille; solo 6 su 10 sono convinti della sua “gratuità”; 4, alla fine, procedono apponendo la firma a favore di un Ente accreditato tra i 72mila possibili; il 16% non è riuscito ad individuare un destinatario. A questo aggiungo, per esperienza diretta, che buona parte dei contribuenti non è al corrente della possibilità di esprimere contemporaneamente tutte e tre le opzioni, né del fatto che scegliere di “firmare” per i tre strumenti di cui sopra, non comporta alcun aggravio sulle imposte da versare: sono contributi comunque dovuti, ma che possono essere destinati a finalità specifiche a insindacabile discrezione.

Sintomatico il fatto che a seguito dell’istituzione dell’8xmille alla Chiesa cattolica, parliamo dell’accordo siglato nel 1985 tra la Santa Sede/Chiesa cattolica e lo Stato italiano/Governo Craxi, le offerte spontanee raccolte dalla Chiesa con i canali tradizionali, come ad esempio le offerte delle Messe domenicali, diminuirono in modo significativo. La causa di questo decremento, secondo gli analisti dell’epoca, era da ricercare nella percezione diffusa tra i fedeli di “aver già dato” per l’appunto con il versamento dell’8xmille, non considerato come “comunque dovuto” allo Stato o, con libera scelta, alla Chiesa.  

L’esercizio delle libertà, ovvero la possibilità di agire nell’alveo delle scelte ammesse da un ordinamento legislativo, è una fondamentale pratica garantita dalle democrazie adulte ai propri cittadini. L’assunzione della responsabilità di orientare, per quanto dato, la destinazione delle risorse pubbliche del nostro Paese è un comportamento che caratterizza un primo livello di partecipazione senza ricorrere, a volte per comodo, alla delega delle scelte e delle decisioni, salvo poi lamentarsi dell’operato di chi delegato. In alcuni casi, a dire il vero, non senza motivo. Come nel caso eclatante della distorsione dei proventi dell’8xmille assegnati allo Stato per la lotta alla fame nel mondo, a più riprese stornati dal Governo di turno per risanare i piangenti bilanci della compagnia di bandiera ALITALIA o finanziare le missioni militari all’estero.  

Certo, è altrettanto comprensibile il disorientamento di alcune persone di fronte al bombardamento mediatico, ancor più intenso a ridosso delle scadenze, messo in atto dalle grandi organizzazioni in grado di investire ingenti risorse per incidere sui grandi media, accattivarsi il maggior numero di contribuenti condizionandone le scelte con messaggi più o meno scioccanti e commoventi. Molto ci sarebbe da dire in materia di correttezza dei linguaggi e, soprattutto, delle immagini utilizzati in tali campagne promozionali. Ad esempio, basterebbe riflettere sullo spregiudicato utilizzo, in barba al Codice etico per le operazioni di raccolta fondi stipulato a livello internazionale tra le maggiori organizzazioni e associazioni no-profit, di immagini esplicite, quando non scandalose, di bambini sofferenti. Il dubbio che tutte le precauzioni previste per legge, in caso di impiego di immagini di minori, vengano rigorosamente rispettate, come ad esempio l’ottenimento delle liberatorie dei rispettivi genitori, è alquanto lecito. Del resto si sa: più si fa breccia nel senso di colpa inconscio della ricchezza e dell’agio dei benestanti, più si raccolgono quattrini pur destinati a buone cause.

Più volte, nel corso degli anni, mi sono trovato a dover rispondere alle domande di un pubblico disorientato che chiedeva lumi su come potersi districare tra le diverse proposte e a chi fosse opportuno destinare il proprio contributo economico. Ripeto qui, per quanto possa valere, il consiglio che sempre mi sono permesso di dare: il criterio principe che suggerisco è di privilegiare le organizzazioni locali, conosciute e, se possibile, frequentate. Questo per almeno due motivi: il primo attiene a quel rapporto fiduciario che solo si può innescare mediante una conoscenza diretta dell’operato di un’associazione benefica; il secondo ha a che fare con un sentimento di giustizia redistributiva che, non solo in questo caso, ritengo utile prendere in considerazione. Le grandi organizzazioni godono di molte risorse, si possono permettere investimenti milionari in campagne di marketing e hanno a disposizione molti canali di comunicazione. Le piccole, radicate in un territorio, vicine ai propri “beneficiari” e parsimoniose nell’impiego di economie per attività diverse dalla loro mission sociale, nella maggioranza dei casi hanno maggiori difficoltà nel reperimento delle risorse necessarie alle loro attività.

Forse, non da ultimo, il consiglio vale anche a garanzia che il reinvestimento di quanto da noi contribuito raggiunga direttamente, in quota prevalente od esclusiva, i destinatari degli interventi e delle attività di scopo e in virtù della possibilità, volendola esercitare, di una verifica diretta della coerenza e della pertinenza tra gli slogan promozionali e le azioni svolte sul terreno.

Ma queste altro non sono che considerazioni e convinzioni personali, più o meno condivisibili. Ciò che conta, credo incontestabilmente, è che si faccia il possibile per accrescere quella compartecipazione attiva praticata anche attraverso la destinazione di parte delle nostre tasse ai soggetti e alle cause che più riteniamo prioritarie e, di conseguenza, vogliamo privilegiate.

Agire in tal senso serve a contribuire al bene comune; è un modo per partecipare al governo delle risorse; è utile a veicolare un messaggio esplicito per una più decisa applicazione del principio di sussidiarietà che, a distanza di 22 anni dalla sua introduzione nella nostra Costituzione, rimane una delle buone intenzioni ancora non pienamente comprese né, tanto meno, praticate.

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