Don Matteo: l’amico che ce la può fare

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L’incarico di mediazione tra Mosca e Kiev che Papa Francesco ha voluto affidare al Cardinale Matteo Maria Zuppi, oggi Arcivescovo di Bologna e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, riapre una concreta possibilità che il dialogo e la soluzione pacifica possano fare breccia nella crisi russo-ucraina. L’accettazione da entrambe le parti belligeranti di valutare le proposte che la Santa Sede vorrà mettere sul tavolo per porre fine alla guerra in atto consolida la speranza di poter interrompere lo scenario di morte nel quale da 15 mesi vivono le due popolazioni.

Di don Matteo, mi permetto ancora di chiamarlo in questo modo, conosco la mitezza, unita ad una forte determinazione, e la capacità di attendere i tempi giusti per le cose. Forse, le sue origini brianzole hanno impresso nella sua personalità quella tenacia tipica di chi sa che per ottenere qualcosa occorre faticare, aspettare, costruire, tessere e investire in vista di risultati che non sempre arrivano a breve. La mediazione tra le parti in conflitto in Mozambico agli inizi degli anni ’90, condotta con la Comunità di Sant’Egidio insieme all’Arcivescovo mozambicano Jaime Perdo Gonsalves e il Sottosegretario di Stato Mario Raffaelli, durò più di 27 mesi di tentativi, mediazioni, incontri e contatti conclusi con gli Accordi di Pace divenuti operativi nel 1992. A dire il vero, la constatazione di come questa trattativa sia l’unica, tra le tante successivamente intentate da Sant’Egidio, approdata ad un risultato definitivo, nulla toglie al valore e all’irrinunciabilità di percorrere ogni via ed agire con ogni mezzo e strumento pacifico e diplomatico per prevenire e risolvere i conflitti. Nel diritto internazionale, vale la pena ricordarlo, Il ricorso all’uso della forza e delle armi è l’extrema ratio subordinata al fallimento di ogni altro mezzo impiegato per via pacifica.

Del resto, e pronto ad essere smentito, non è che la guerra, le armi e la forza abbiano dimostrato efficacia superiore. Al netto delle migliaia di morti al fronte, delle devastazioni di interi territori, delle conseguenze drammatiche sulla popolazione civile che, ovunque e sempre, paga il prezzo più alto dei conflitti, le soluzioni belliche hanno richiesto tempi e tutt’altro che brevi e ottenuto risultati tutt’altro che definitivi.

Senza scomodare epoche remote, basta riflettere sull’assurdità e infondatezza del concetto di “guerra lampo” così spesso propagandato negli ultimi decenni. Dal Vietnam all’Iraq, dall’Afghanistan alla Cecenia, dal Sudan alla Colombia, via via ricorrendo gli innumerevoli conflitti e fino alla guerra russo-ucraina, l’ipotesi di interventi armati che durino poco si infrange contro la realtà di lunghi, quando non eterni, periodi di ingaggio degli eserciti. L’illusione dei potenti di turno ancora convinti, e sempre interessati, della realizzabilità del “vado, l’ammazzo e torno”, è stata pagata da anni di impaludamento nei territori di guerra e con costi esorbitanti in vite umane e risorse economiche pagati dalle rispettive popolazioni.

Ancora una volta, è più di un anno che i sostenitori del riarmo incondizionato di Kiev e i fautori dell’intervento della NATO perseverano nel potenziamento dell’arsenale ucraino senza cavarne un ragno dal buco, ma procacciando affari miliardari alle lobby delle armi e sostenendo la tanto ricercata ripresa economica dei loro Paesi.

Pur convinto sostenitore di una necessaria profonda riforma del sistema delle Nazioni Unite, non fosse altro che per la vigenza dell’anacronistico potere di veto di alcuni Stati al Consiglio di Sicurezza tra i quali, paradossalmente, anche la Russia, la scelta di escludere il ricorso all’ONU quale mediatore di un conflitto europeo e di intervenire sotto la bandiera NATO, come per la guerra dei Balcani, lascia molti dubbi e, soprattutto, non poteva che suscitare la scontata controreazione delle potenze escluse da tale patto con il concreto rischio di esacerbazione delle contrapposizioni.

Questa strategia, che già ha evidenziato enormi ostacoli infrapposti al dialogo tra le parti, renderà oltremodo complicata la mediazione vaticana. Don Matteo è un convinto multilateralista, oltre che sincero costruttore di pace. Il suo curriculum e la sua esperienza maturata nel corso degli anni in diversi scenari di guerra in giro per il mondo, il sostegno della Comunità di Sant’Egidio sul quale potrà certamente contare, l’incessante opera pacificatrice di Papa Francesco e la propugnata neutralità della Santa Sede, sono certo potranno fornire al Cardinale Zuppi un armamento e una potenza di fuoco in grado di scardinare le posizioni intransigenti incancrenitesi tra Kiev, Mosca e rispettivi alleati.

Parlando di don Matteo ricordo con piacere i caffè consumati insieme al baretto nelle vicinanze della sede della Comunità discorrendo e confrontandoci sulle tante iniziative organizzate insieme e sulla situazione del Burundi, Paese del quale vantavo una conoscenza utile agli approcci mediatori di Sant’Egidio anche qui coinvolta nelle trattative tra le parti in conflitto. Mi auguro che anche questa volta trovi compagni di viaggio sinceri e utili alla sua missione. Per quanto mi riguarda, sarò un suo deciso sostenitore augurandomi che tutti mettano da parte preconcetti, pregiudizi e luoghi comuni unendosi nella convinzione che ce la farà: ne va della vita di migliaia di persone e del futuro dell’Europa.

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