Moschea a Cantù: la querelle va ben oltre le sentenze

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Il TAR di Milano ha dato ragione all’Amministrazione comunale di Cantù: la richiesta di istanza cautelare presentata dai legali dell’Associazione ASSALAM è stata respinta e, di conseguenza, il Tribunale regionale autorizza il Comune a procedere con il trasferimento della proprietà (il capannone acquistato in totale autofinanziamento dalla stessa associazione dei mussulmani residenti nel territorio canturino n.d.r.) al patrimonio comunale.

Va da sé che, come prevedibile, i legali dell’Associazione hanno già annunciato il ricorso al Consiglio di Stato protraendo, di fatto, la contesa tra le parti in causa apertasi nel 2017.

La giustizia e la legge devono fare il loro corso: ciò è incontestabile e condivisibile. Tutt’altra cosa, tuttavia, sono le questioni che attengono alla dimensione culturale, politica ed etica di questa vicenda; forse, anche al buon gusto e ad un fair play che non guasterebbe facesse parte del governare un Paese o dell’amministrare un territorio che, meglio ricordarlo, conta oggi oltre 9.000 abitanti stranieri, in buona parte di credo mussulmano.

Leggere sul “La Provincia” di oggi del tronfio trionfalismo di un sottosegretario di Stato quale è l’on. Nicola Molteni, fa male. Fa male a me, ai cittadini, alla politica che da troppo tempo e in ogni circostanza fa del confronto un’occasione di scontro e di denigrazione dell’avversario. “Si mettano il cuore in pace …… Assalam, la sinistra, quanti hanno sfilato nelle scorse settimane ….” Sono affermazioni sopra le righe, partigiane e irrispettose di un pensiero diverso non rispetto al decorso della giustizia, ma alla prospettiva di una città accogliente, plurale, inclusiva e adeguata ad una realtà che, si metta lui il cuore in pace, sarà sempre più multietnica e pluriconfessionale. Così come, vantarsi dell’aver a sua volta manifestato a fianco di chi brandiva lo slogan mai una moschea a Cantù”, manifesta tutta la mediocrità, l’anacronistica faziosità e l’insulsa violenza di un rappresentante del nostro territorio in Parlamento che si schiera non, come accettabile, dalla parte della Legge, ma da quella di una cultura divisoria e falsamente paladina di presunti valori e veritieri privilegi dei detentori dello “ius sanguinis”.

Se la querelle fosse davvero unicamente giuridica, ci aspetteremmo che l’Amministrazione e il Sottosegretario si facessero carico di quel diritto costituzionale alla libertà di culto, a loro detta mai messo in discussione né intralciato, che spetta non solo ad un’unica confessione, ma a tutte le fedi professate dai loro cittadini; soprattutto quando rappresentano migliaia di abitanti. A meno che, proseguendo nella citazione della scriteriata propaganda destrorsa, non si voglia avvallare l’ipotesi avanzata nel 2018 dall’attuale Premier di selezionare gli immigrati al fine di “prendere quelli cristiani, spesso di origine italiana, dal Venezuela”.

I giudici svolgano il loro dovere; la giustizia faccia il suo corso; ma nel frattempo, a nessuno è consentito calpestare il valore della diversità, né la dignità di cittadini che alla pari degli altri lavorano, pagano le tasse, si accollano gran parte dei lavori rifiutati dagli aborigeni.

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Un commento

  1. Come dicevi tu dovrebbe essere una questione di far play o buon gusto….
    Io comunque un articoli di risposta, citando anche o sopratutto le ultime righe….”a nessuno è consentito”….lo farei, (con magari le firme di quelli che “dovrebbero mettersi il cuore in pace”)se hai bisogno della firma io non ho problemi
    Grazie e buona serata