Meloni d’Africa

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Ieri, Giorgia Meloni ha intrapreso il suo secondo viaggio nel continente africano. All’insegna di “basta carità con l’Africa”, la toccata e fuga di giornata della Premier ha interessato Mozambico e Congo Brazzaville dopo che, l’aprile scorso con il suo precedente viaggio, la Primo Ministro si recò in Etiopia. In entrambe le trasferte il mantra più volte ripetuto, quasi a voler intitolare ad un nuovo corso storico le visite africane, è stata la svolta verso un “approccio che non sia predatorio e paternalistico”.

Roba da istantanea sottoscrizione. Esultanza da “messaggio ricevuto” – dopo che da oltre 30 anni le ONG italiane, europee, occidentali e africane comprese lo hanno assunto a fondamentale principio della cooperazione allo sviluppo. Esaltazione da conversione istituzionale. Gioia per i fratelli d’Italia africani. Brividi già provati per il salviniano “aiutiamoli a casa loro”.

Se non fosse per alcuni dettagli tutt’altro che insignificanti, rilevabili non solo da chi ha dedicato anni alla cooperazione internazionale, bensì da chiunque possieda attiva l’innata capacità di osservazione critica propria della mente umana allo stato solido e non frullata nell’omogeneizzatore del pensiero.  

A partire dai Paesi prescelti. La strategia di affermazione internazionale della Primo Ministro non collima con la loro scarsa influenza sullo scacchiere politico panafricano, tanto meno su quello mondiale. Tale evidenza, è caratteristica che da un lato li accomuna e, dall’altro, impone la risalita ad altro criterio di scelta. Neppure si può far risalire, come per altri Governi europei, ad un passato coloniale per noi, fortunatamente, tragicomicamente esauritosi in pochi anni di storia e circoscritto in due soli confini nazionali. Un tale criterio, infatti, varrebbe unicamente per l’Etiopia.

Oppure, coerenza vorrebbe che l’instancabile agitazione, dentro i patri confini da difendere, della bandiera migratoria, orientasse le priorità di indirizzo delle risorse – poche per la verità – verso i Paesi di origine dei flussi migratori prevalenti verso le coste mediterranee. Ma nemmeno questa prerogativa appartiene ai tre ospiti dei due safari meloniani. Ancora, si potrebbe immaginare una priorità concessa a quei Paesi e quelle comunità il cui futuro molto potrebbe giovarsi delle peculiarità del cosiddetto “sistema Italia”, noto – e invidiato – in tutto il mondo per la sua identitaria conformazione di piccole e medie imprese, giusto per non essere paternalisti. O alternativamente, riflettendo da tutt’altra prospettiva, ritenere, a dispetto di ogni dato oggettivo, che Etiopia, Mozambico e Congo siano i maggiori partner economici africani del nostro Paese.

Per contro, e senza irriverenza nei confronti del Governo, per i viaggi futuri suggerirei alla Meloni di riflettere, questa volta si, su tratti accomunanti i Governi dei Paesi visitati: dittatoriali; giunti al potere con dubbi tragitti elettorali; occupati di continuo a sedare sommosse e manifestazioni di popolo; accumulatori indefessi di ricchezza “predata” al proprio Paese e alla sua popolazione; contribuenti elitari dei paradisi fiscali mondiali; affamatori di gente e, in alcuni casi, persino mandanti di crimini e assassini di varia natura; violatori seriali dei più fondamentali diritti umani.

Dimenticavo, giusto, per un tocco di attuale assurdità!! A meno che si sia optato per Paesi amici di Putin, alleati della cattiva Russia, fautori dell’invasione del dragone cinese e magnati degli interventi mercenari della divisione Wagner.

Dato che nessuna di queste spiegazioni sembra plausibile, scartando l’ipotesi della malvagità intenzionale di questo Governo, proverei a dirigere l’obiettivo non più sulla geopolitica neo-africanista di Palazzo Chigi, ma piuttosto sui criteri di assegnazione delle carte di imbarco dei voli di Stato in terra d’Africa. In tutti i tre viaggi di quest’anno, oltre ai consiglieri, collaboratori e dirigenti istituzionali di prassi, una di queste è sempre stata riservata a tal Claudio De Scalzi, Amministratore delegato di ENI dal 2014 e, prima di allora, secondo in plancia di tal Paolo Scaroni al comando del “cane a sei zampe” dal 2005 e noto “terzomondialista”. Gente da 5-6 milioni di stipendio all’anno e da liquidazioni fantasmagoriche; da compensi giustificati dagli svariati miliardi di extraprofitto petrolifero versati nelle casse dello Stato; naviganti di lungo corso che hanno franto le onde di Governi di opposto orientamento politico; certamente, non dirigenti di spicco di organizzazioni filantropiche; persone che hanno “pienamente intrapreso” la transizione energetica passando dal petrolio al gas naturale. Gas che sino a pochi anni orsono Italia ed ENI importavano in enorme quantità da Mosca e che, alla luce dell’altro slancio “umanitario” del Governo italiano rivolto alla popolazione ucraina, necessita di una sgommante accelerazione verso una diversificazione d’approvvigionamento.

Coincidenza vuole che i tre Paesi visitati dalla Premier in questo 2023, abbiano enormi giacimenti di gas, petrolio e risorse energetiche naturali, i proventi della cui estrazione, almeno sino ad oggi, non hanno certo beneficiato le popolazioni povere, ma piuttosto rimpinguato i già ricolmi forzieri delle loro élite e finanziato, alternativamente, sanguinari colpi di stato e guerriglie giocate sulla pelle di civili stremati da povertà e miseria, alla mercede dell’ennesima falsa promessa di un prospero cambiamento futuro.

Abituati come siamo, ma non di certo avvezzi, alla retorica plasmata sulla moda e la convenienza del momento, lo sforzo di ridare significato alle parole diventa improbo quanto necessario.

E’ del tutto doveroso per un capo di Governo, promuovere, incentivare, facilitare l’espansione commerciale ed economica di un Paese. Del tutto comprensibile dare risposte efficaci ai problemi, compreso quello dell’approvvigionamento energetico, delle rispettive comunità nazionali. Altrettanto evidente che la politica estera non possa e non debba risolversi nella sola lotta alla povertà che schiavizza quattro quinti di popolazione mondiale. Tuttavia, il continuo e reiterato attingere alle risorse naturali dei Paesi dei Sud del mondo forti della superiorità contrattuale sempre giocata dal mondo “sviluppato”, per non essere né “depredatorio” né “caritatevole”, deve garantire un’equa e giusta distribuzione del beneficio economico tra l’intera popolazione locale e non unicamente riservarlo alla famelica brama di profitto dei rispettivi dirigenti, affaristi e faccendieri di turno. In caso contrario, e non senza personale disappunto, meglio parlare di neocolonialismo economico, di affaristica commerciale e stendere un velo pietoso sugli approcci depredatori e paternalisti.

Le condizionalità intrinseche a qualsivoglia accordo commerciale, invocato come motore di sviluppo, devono inderogabilmente soggiacere al pieno rispetto dei diritti umani. Giusto per non avere un approccio “caritatevole” con i ricchi e paternalistico-depredatorio con i poveri ed evitare – altra terminologia che suggerirei di introdurre nel lessico della Premier – soluzioni egoistiche, ombelico-centriche e brevi-veggenti buone per il consenso nazionale, quanto foriere di ulteriori sacche di ingiustizia che inevitabilmente troveranno valvole di sfiato dalle ripercussioni già sperimentate.

Aiutarli a casa loro” è un sacrosanto principio, figlio di quell’approccio non caritatevole aborrito. Aiutarli a casa loro comporta l’osservanza delle regole del diritto internazionale; il mantenimento dei patti sottoscritti nelle Istituzioni sovrannazionali; l’ottemperanza dei doveri assunti verso altri Paesi; la concretizzazione degli impegni ratificati, a partire da adeguati stanziamenti per la cooperazione allo sviluppo e la lotta alla povertà tutt’ora scandalosamente disattesi dal nostro Paese.

Avere a cuore lo sviluppo dell’Africa, come degli altri Paesi dei Sud del mondo, impone il garantire la piena affermazione del principio di autodeterminazione proprio di ogni popolo, di ogni comunità e di ogni suo singolo componente in libero diritto di decidere se “partire o restare” potendo scegliere tra pari condizioni di vita, uguali prospettive di futuro, appropriate contesti di vita dignitosa e decorosa.

Questo è il vero contenuto e il profondo significato di una “Carità” protesa alla rimozione delle cause della disparità e dell’ingiustizia, della povertà e della fame, dell’esclusione e dell’emarginazione, dell’opulenza di pochi alimentata dalla povertà di molti. Questo approccio “caritatevole” ci piace. Questo approccio caritatevole è il vero antagonista di quello predatorio che, non me ne voglia la Premier, intravvedo anche in quel “Piano Mattei” per l’Africa, annunciato e ancora una volta rimandato, che vorrebbe segnare un nuovo inizio di cooperazione con un Continente che piace perché “nero di petrolio”, un po’ meno quando “nero di rabbia” per i soprusi subiti e mai risarciti.

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