Sono le persone a far vivere le città
Agire per la rivitalizzazione dei centri urbani e la vitalità degli agglomerati è questione importante. La progressiva individualizzazione del vivere sociale è, senza dubbio, una delle conseguenze più evidenti di una cultura via via affermatasi negli ultimi decenni.
A poco serve, se non ad alimentare epidermiche nostalgie, il ricordo dei “bei tempi passati” molto spesso evocati dai più. Piuttosto, occorrerebbe riproporre socialità condivise e solidarietà diffuse dei tempi andati.
Certo, le strutture hanno la loro importanza, ma solo come logica strumentale, quindi derivata, di obiettivi e priorità ben superiori.
La cospicua immissione di risorse e proliferazione di opportunità per la riqualificazione dei centri urbani, a partire da quelle fruibili con l’enorme flusso di risorse messe a disposizione dal PNRR, rischia di focalizzare l’attenzione delle amministrazioni dei territori sulle strutture a discapito delle persone.
Incentivare a più non posso l’insediamento di anonimi centri commerciali, icone delle spersonalizzazione delle relazioni e della massificazione dei bisogni, collide con il proposito di salvaguardare e preservare le peculiarità dell’arte artigianale e delle tipicità dei piccoli esercizi commerciali dei centri città. E non bastano, evidentemente, le irrisorie facilitazioni offerte per illusoriamente incrementare l’attrattività delle botteghe storiche a conduzione familiare dei nostri paesi. A meno che, l’obiettivo non sia quello di offrire aria condizionata nelle sempre più frequenti giornate canicolari ai pensionati privati dei tradizionali centri di aggregazione frequentati dalle generazioni passate.
Piazze progettate da sedicenti architetti estetisti, aree pedonali immaginate da urbanisti futuristi, ristrutturazioni di edifici storici progettate da designer “a la page”, non ridaranno vita alle nostre città se non accompagnate da percorsi di rigenerazione relazionale delle cittadinanze e di ri-educazione dei cittadini.
Per far rivivere le città e i paesi bisogna investire sul coinvolgimento dei cittadini in progetti condivisi , singolarmente e nelle loro forme associative, per farli riappropriare di quei bisogni di socialità e di solidarietà quali ingredienti principali della ricetta del buon vivere e dell’attaccamento alle radici culturali dei nostri territori.
Musei diffusi, nostalgiche mostre artistiche, esposizioni vintage, ristrutturazione di edifici storici, rievocazioni nostalgiche non serviranno a far ripulsare il cuore dei nostri paesi. Altro non faranno che alimentare estemporanee quanto inutili emozioni che lasceranno subito il passo ad una quotidianità sradicata e proiettata alla progressiva abulia del vivere “moderno”. Fatti salvi i consensi elettoral-populisti delle amministrazioni in carica e gli affari degli speculatori di turno.