Grandi opere, territorio e portatori di interesse

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La realizzazione di grandi opere comporta implicazioni di portata significativa per i territori di incidenza e, soprattutto, per le comunità locali. Spesso, contrapposizioni di visioni, culture e convinzioni diverse circa le priorità e le modalità del suo sviluppo futuro.

La rara convergenza di vedute diverse, a volte addirittura opposte, assume un carattere rassicurante e impone la riconsiderazione delle valutazioni segmentate in interessi di parte o parziali che legittimamente si possono esprimere e che, comunque, mantengono un’importanza sempre utile alla loro miglior realizzazione.  

Altrettanto importante è il sostegno, che spesso sfocia in vero e proprio coinvolgimento, dei portatori di interesse primari, o se si preferisce dei beneficiari diretti delle progettualità. Tuttavia sempre, e ancor più quando i progetti hanno dimensioni e impatti rilevanti per l’insieme della comunità e del territorio, sarebbe una sottovalutazione scorretta non avere altrettanto occhio di riguardo per i portatori di interesse meno protagonisti, ma altrettanto coinvolti. In anni di progettazioni per lo sviluppo di comunità nei Sud del mondo e poi nel nostro Paese, ho appreso come la non considerazione degli effetti collaterali che qualsivoglia realizzazione ha sugli “esclusi”, cioè su coloro i quali non beneficeranno direttamente dei vantaggi prevedibili, sia uno degli errori più comunemente commessi. Se non altro per il fatto che, se prende piede la percezione dell’ennesima occasione nella quale qualcuno è preoccupato di subire conseguenze negative, si amplia lo iato tra favorevoli e contrari, tra sostenitori e delatori, tra chi “sa e decide” e chi non conosce e subisce. E quando quel “qualcuno” diventa “molti” la situazione di aggrava. In altri termini, resto convinto dell’inesistenza teorica e ancor più concreta, del progetto perfetto privo di controindicazioni e di effetti collaterali.  

Per questo, la condivisione in merito all’utilità pubblica di qualsivoglia progetto passa necessariamente per la condivisione simultanea delle valutazioni e delle soluzioni che si intendono adottare per minimizzare gli impatti ritenuti negativi da chi non direttamente fruitore dei risultati preventivati.

Ora, la presunzione che bastino le dichiarazioni verbali circa le garanzie ottenute per la soluzione degli impatti problematici di un progetto, è sinceramente insufficiente. Soprattutto quando la determinazione e la nettezza delle affermazioni in merito ai risultati positivi previsti non si ritrovano in quelle circa le soluzioni previste per le negatività altrettanto inequivocabilmente insite, o quando le rassicurazioni esemplificative addotte dai sostenitori sono del tutto sproporzionate ed effettivamente un po’ ridicole.

Prendiamo come esempio il progetto della cosiddetta “arena” che si costruirà a Cantù (meglio conosciuta come il “Palazzetto”). Se questa grande opera è valutata come il “volano di sviluppo per il territorio” (valutazione del capogruppo comunale del PD); se al contempo viene unanimemente ritenuta foriera di un abnorme incremento del traffico cittadino, ipotesi drammatica per un territorio tristemente già noto come tra i più congestionati ed inquinati della regione, tanto da non escludere che “potremmo avere Cantù completamente bloccata” (esternazione del capogruppo di Fratelli d’Italia); se le “garanzie” ottenute si riferiscono a promesse come “reperiranno parcheggi esterni e attiveranno navette”(dichiarazione del capogruppo del M5S); se si adduce la realizzazione già in essere di “una pista ciclabile” come risposta ad un afflusso stimato in 350 mila veicoli in più (Assessore alle Attività produttive); se oltre a questo si ipotizza che “si potrà aprire un confronto sul trasporto locale” (Vice Sindaco), il rischio della ri-esplosione delle contrapposizioni sopite e, soprattutto, della disaffezione e della sfiducia dei portatori di interessi diversi sarà inevitabile e di intralcio per la stessa messa in moto del “volano”.

Sicuramente anche per mia responsabilità, mi annovero tra i cittadini troppo poco informati e con insufficiente conoscenza di dettagli per poter entrare nel merito del giudizio. Altrettanto, e proprio per questa ragione, mi considero tra quei portatori di interesse non protagonisti con diritto di coinvolgimento, quantomeno informativo, nello sviluppo futuro della mia città. L’afasia tra le risorse devolute e le tempistiche adottate per la realizzazione “dell’opera”, quelle destinate alla pubblicizzazione delle misure compensative e le poche fin ora viste per la consapevolizzazione della cittadinanza, va ricucita al più presto. Siamo ormai una città di notevoli dimensioni e, di conseguenza, sono cosciente di quanto sia difficile lavorare per forme di partecipazione attiva della sua numerosa popolazione. Tuttavia, ritengo che il metodo di conseguimento dei risultati, ancorché positivi, sia parte della sostanza; che le modalità di acquisizioni del consenso, non solo quello elettorale, assumano carattere distintivo della governance di una città.

E per non passare per teorico-idealista, tratto che per nulla mi si addice, provo ad avanzare una prima parziale proposta per colmare lo iato prima citato e, forse, recuperare almeno in parte quel numero crescente di cittadini i quali hanno rinunciato ad essere attivi nella gestione della comunità, del territorio e dei suoi beni comuni: si indicano Assemblee pubbliche decentrate sul territorio che diano evidenza a questa positiva convergenza delle diversità, che contribuiscano al confronto tra quelle ancora in essere e, al contempo, siano occasione per rilevare utili proposte per l’esecuzione di un progetto a migliore risultanza positiva per i diversi portatori di interesse; si usino tutti gli organi di informazione disponibili per un monitoraggio diffuso del prosieguo; si apra su di essi una tribuna pubblica accessibile ai cittadini; si incrementino gli sforzi di comunicazione sui canali istituzionali previsti dall’Amministrazione. Ne vale la pena; è doveroso: non fosse altro che gli impatti sopra citati sul nostro territorio; non fosse altro che per le sue dimensioni economiche che ammontano al corrispettivo di due esercizi annuali del bilancio comunale.

Il ciliegio piantato nell’aiuola alla Stazione di Cantù Asnago, chiamato “Albero della meditazione”, sia ispiratore di questa e delle future decisioni.

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