Regionali: a vincere sarà il partito del non voto

Che queste elezioni regionali abbiano una valenza nazionale è fuori dubbio. Lo dicono i numeri: a votare domenica 12 e lunedì 13 per il rinnovo dei Consigli regionali di Lazio e Lombardia saranno circa 8.35 milioni di elettori in Lombardia e 4.81 milioni in Lazio. Considerando che alle ultime elezioni politiche gli aventi diritto erano circa 51 milioni, stiamo parlando di uno scrutinio che potenzialmente coinvolge oltre un quarto (26%) del totale degli elettori italiani. I risultati di questa tornata elettorale non potranno che riflettersi sugli assetti nazionali, anche in vista delle “europee” del prossimo anno.

In seconda battuta, vale la pena ricordare che il sistema elettorale per le Regionali in Lombardia prevede il “turno unico” con elezione diretta del Presidente (viene eletto il candidato che ottiene il maggior numero di voti); un sistema proporzionale con premio di maggioranza per il rinnovo dei Consiglieri (la coalizione, per la cosiddetta “clausola di governabilità”, ottiene rispettivamente il 55% e il 60%, ma non oltre il 70%, dei Consiglieri a seconda che il Presidente eletto non raggiunga o superi il 40% delle preferenze); il “voto disgiunto” (tra candidato Presidente e candidato di una lista non associata alla sua); la possibilità di esprimere due preferenze, purché assegnate a due candidati della stessa lista, ma di differente sesso.

Infine, al di là delle consuete dichiarazioni di chi spunterà la vittoria nelle due Regioni, è prevedibile che il dato più rilevante, nonché meno considerato nelle soluzioni da adottare nei mesi a venire, sarà ancora una volta relativo alla percentuale di affluenza alle urne.

A tutti è noto come il declino delle percentuali di votanti abbia raggiunto valori enormi, in Italia come in Europa. Alle ultime elezioni parlamentari dello scorso settembre, la percentuale registrata dei votanti si è attestata sul 63.8%: ben 30 punti percentuali inferiore ai dati praticamente constanti registrati dal dopoguerra e fino al 1976 (93.39%). La consolazione di essere solo leggermente al di sotto degli altri Paesi europei, non mitiga minimamente la gravità della situazione. La disaffezione ad una politica avulsa dai bisogni della gente e la prevalenza di una cultura edonistico-individualista, che accomuna il non voto e i populismi di varia matrice politica, resta il vulnus da risolvere per civismo, innanzitutto, ma anche per tornaconto elettorale.

Provocatoriamente, ricordo che in alcuni Paesi, 26 per la precisione, vige l’obbligo di voto. Oltre a Paesi come Corea del Nord, Brasile o Repubblica Democratica del Congo, per citarne alcuni, anche in Australia e nella nostra Europa “democratica” Belgio, Lussemburgo e Grecia hanno optato per questa forma di “incentivazione” al voto: chi applica sanzioni economiche; chi restrizioni di diritti civili; chi riduce i benefici godibili; chi la conserva solo formalmente.

Non nutro dubbi circa la necessità di eludere ogni forma di coattazione, rimanendo convinto che l’affezione alle vicende politiche di una comunità, continentale, nazionale, regionale o comunale che si voglia, passa per un riavvicinamento a due sensi di marcia tra chi è chiamato a governare e chi è tenuto a verificarne l’operato in vista del bene comune e del buon vivere. Porre al centro della propria azione interessi particolari e ambizioni personali, da ambo le parti, conduce a quella progressiva divaricazione alla quale assistiamo dall’epoca partecipativa del post ’68 ad oggi.

Certo si necessita di nuove scuole di politica; non vi è dubbio circa l’urgenza di un’educazione civica compartecipata nelle strutture educative; è indiscutibile il bisogno di modelli di governance partecipativa nella gestione dei territori.

Tuttavia, per domani, ciò che conta è recarsi alle urne: per dare il nostro assenso; per manifestare le nostre mediazioni; per esprimere i compromessi ritenuti, anche obtorto collo, possibili. O anche per sfogare i nostri più totali dissensi utilizzando lo strumento della “scheda bianca”. Solo così, solo sconfiggendo il partito del non voto, avremo la possibilità di una legittimazione dei vincitori o di una riduzione di quel tronfio vittorialismo che caratterizza perfino i leader più potenti di questo nostro mondo non di rado eletti da minoranze di meno di un quarto dei cittadini dei rispettivi Paesi.

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