Senza restituzione ogni accordo è ingiusto

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I risultati della COP 26, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici conclusasi a Glasgow lo scorso 13 novembre, hanno avuto grande risalto sui principali media nazionali e internazionali. Un positivo segnale di come la sensibilità sul futuro del pianeta sia enormemente cresciuta nel corso degli ultimi anni.

Anche i più distratti, a questo punto, hanno avuto modo di essere informati circa l’unanime giudizio di inadeguatezza degli accordi sottoscritti espresso dalla stragrande maggioranza dei Governi partecipanti, nonché dalla totalità delle organizzazioni di società civile che hanno come di consueto seguito i lavori della COP.

L’obiettivo di limitare a 1,5 gradi centigradi l’aumento di temperatura, ovvero tagliare le emissioni del 45% da qui al 2030; impegnarsi per la riduzione dell’utilizzo di energia da fonti fossili (essenzialmente dal carbone); bloccare i sussidi alle fonti fossili “inefficienti”; stanziare 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2023 (e non più il 2020 come deciso a Parigi nel 2015) per consentire ai Paesi poveri di “adattare” le loro economie ai nuovi standard ambientali; sono così deludenti da aver indotto il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Gutierrez, a formulare un giudizio dai toni mai sentiti dal massimo rappresentante della diplomazia internazionale: “Il risultato di Cop26 è un compromesso che riflette gli interessi, le contraddizioni e lo stato della volontà politica nel mondo di oggi. È un passo importante, ma non basta. È ora di entrare in modalità di emergenza.”

Ma ciò che ritengo maggiormente inaccettabile è l’intesa raggiunta sulla partita cosiddetta “delle perdite e dei danni (loss and damage)” che va di pari passo con quella del “mercato del carbonio”. In estrema sintesi: i Paesi con maggiori possibilità economiche possono permettersi di inquinare di più (ovvero oltre i limiti stabiliti con gli accordi internazionali) acquistando quote di CO2 non emesse da Paesi che inquinano meno (sotto i limiti consentiti), ma, al contrario e contemporaneamente, non accettano di risarcire gli stessi Paesi poveri dei danni da loro provocati con azioni sconsiderate e depredatorie dell’ambiente (si pensi ad es. allo sfruttamento della foresta amazzonica) perpetrate per decenni nei loro territori.

Chi rompe paga; chi ruba restituisce; che danneggia ripara: così, è detto, va il mondo …. tranne quello voluto dai potenti della terra per preservare privilegi e profitti non più sostenibili.

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