Migranti: bisogna riformare le Nazioni Unite

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L’emergenza migranti sta giustamente mobilitando personalità, istituzioni, associazioni e opinione pubblica. Gli appelli, le riflessioni e le proposte si alternano quotidianamente su media, nei palazzi della politica e nelle preoccupazioni della gente comune. Altrettanto accade per l’imputazione delle responsabilità delle cause così come delle presunte soluzioni. Ognuno ritiene, a torto o a ragione, che qualcun altro dovrebbe agire e altri dovrebbero fare di più. Tra i maggiori imputati, oltre alle politiche dei governi dei Paesi di provenienza e delle relazioni internazionali, Unione Europea e Nazioni Unite. La prima nuovamente manifesto di una incompiutezza politica, sacrificata negli anni alla tirannia finanziaria ed economica, l’ONU ancora una volta sul banco degli imputati con l’accusa di inconcludenza o di inefficienza.

In questo ribollire di parole, tra le più dure vanno certo citate quelle pronunciate dal Presidente dei Vescovi italiani S.E. Mons. Bagnasco. Tutti abbiamo sentito la durezza e la determinazione del capo della CEI con la quale Bagnasco ha invocato, non senza toni accusatori, un intervento rapido ed efficace degli Organismi onusiani che ancora non hanno mosso un dito per affrontare l’incedere degli eventi. E ciò è giusto, oltre che evidentemente vero e sacrosanto. Tuttavia, pur condividendo ed apprezzando l’invocazione di un’immediata discesa in campo delle Nazioni Unite, non possiamo mancare di sottolineare come anche questa crisi e i comportamenti assunti a Palazzo d Vetro siano le conseguenze di una grave quanto annosa carenza strutturale del sistema ONU.

Sin dalla loro costituzione i governi hanno voluto articolare l’architettura istituzionale delle Nazioni Unite in diversi organi funzionali all’esercizio della richiesta governance globale cui esse sono chiamate. Ma mentre per le cosiddette questioni di ordine politico si è voluto un vero e proprio organo di governo identificato nel Consiglio di Sicurezza, per quelle di natura “economico e sociale” i poteri decisionali e le potenzialità di intervento sono state affidate ad Consiglio con soli poteri consultivi e sprovvisto dei mandati necessari all’assunzione di decisioni autonome e, per quanto ammesso in un ordine sovrannazionale, svincolate dai voleri e dagli interessi dei singoli Paesi. L’ECOSOC, il “Consiglio per gli affari economici e sociali” tutt’oggi resta il luogo deputato a discutere ed affrontare le crisi di questa natura e ancora oggi rimane un ambito di confronto, di proposta e di consulenza per altri organi decisionali. Nonostante le note e inaccettabili manchevolezze e distorsioni del Consiglio di Sicurezza, prima fra tutte l’anacronistica permanenza del potere di veto riservato a quelle che più di 50 anni orsono erano le 5 “grandi potenze mondiali”, l’ECOSOC non può nemmeno reggere il confronto con lo zoppicante Consiglio di Sicurezza essendo istituzionalmente situato in un grado decisamente inferiore per quanto attiene i poteri e i mandati ad esso assegnati.

Da anni buona parte delle organizzazioni di società civile e non pochi esperti di governance globale vanno chiedendo una decisa riforma dell’architettura delle Nazioni Unite dentro la quale, tra le priorità, viene indicato il cosiddetto “upgrading” del Consiglio Economico Sociale ad un rango di organo decisionale. La ratio di tale proposta risiede nell’evidenza esperienziale, oltre che teorica, di come le condizioni economiche, sociali e, sempre più, ambientali siano cause scatenanti crisi ed emergenze al pari di quelle politiche. L’attuale “emergenza” migranti, non fa che dimostrarne la fondatezza e la drammaticità.

Seguitare a ricorrere alle istituzioni sovrannazionali con approcci occasionali, come mi piace parafrasare come fossero il “menu alla carta” di un ristorante per poveri, non fa che rinviare i problemi alla crisi successiva. Al di la della giustezza e della opportunità delle invocazioni contingenti.

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