COP 21: impegni vincolanti ?

A metà della Conferenza sui cambiamenti climatici indetta dalle Nazioni Unite e in corso a Parigi, le speranze e le disillusioni rispetto alle possibilità di raggiungere un accordo tra i Governi sembrano equivalersi. Ciò che più rende difficoltoso giungere a conclusioni efficaci condivise dai 195 Paesi partecipanti sembra rimanere la vessata questio del “carattere vincolante” delle decisioni e degli impegni da assumere. Se la maggioranza delle organizzazioni della società civile e buona parte delle Nazioni con minori responsabilità quantitative in materia di produzione di sostanze inquinanti premono per dare tale portata alla Dichiarazione finale della Conferenza, i Paesi con maggiori implicazioni e, quindi, sollecitati a ben più grandi sforzi di riduzione delle proprie emissioni di CO2 tentennano preoccupati delle reazioni delle rispettive costituency sottoposte, se del caso, a enormi revisioni dei loro stili di vita e dei loro processi produttivi.

Di buon auspicio e di un qualche incoraggiamento è il recente sondaggio condotto dal Washington Post e dalla rete ABC News che rileva come il 63% dei cittadini adulti negli USA ritengono il problema dei cambiamenti climatici come “grave”, così come analoghi indagini da tempo condotte nella UE che da tempo evidenziano dati nettamente sbilanciati a favore di una opinione pubblica fortemente preoccupata e sensibile alle questioni ambientali.

Ma al di la di questo, ciò che risalta dalle notizie passate sui media in questi primi giorni di Conferenza, va detto con inedita attenzione frutto di quanto qui sopra asserito, è l’insistenza con la quale torna il problema del “carattere vincolante” rispetto a cui vengono aggiornate le varie posizione dei più influenti capi di Stato e di Governo intervenuti a Parigi. Così, le affermazioni in primis del Presidente Obama e a seguire dei Governi di Pechino, Mosca e Nuova Delhi, Paesi al top delle emissioni nocive, hanno avuto grande rilievo mediatico ed assunte a metro di misura per catalogoare “buoni e cattivi”. Pur riconoscendo un fondo di verità, tuttavia  occorre riflettere su cosa realmente significhi oggi per i Governi schierarsi a favore dell’adozione alla COP 21 di una Dichiarazione con impegni vincolanti.

L’assetto istituzionale delle Nazioni Unite attualmente prevede unicamente la possibilità di adottare “raccomandazioni” con finalità di “moral suasion”  rispetto alle libere scelte che poi i singoli Governi adotteranno. Come noto, unica eccezione sono le “risoluzioni” del Consiglio di Sicurezza in caso di alcuni conclamati conflitti, e le sentenze della Corte di Giustizia Internazionale nel caso di comprovati crimini contro l’umanità. A parte quindi queste due casistiche che comportano l’esercizio conseguente di potere sanzionatorio, in tutti gli altri casi l’ONU non è dotato né di meccanismi, né tanto meno di strutture con mandato vincolante per i singoli Paesi. A maggior ragione ciò vale per la questione dei cambiamenti climatici che essendo ascritta alle problematiche economico-sociali sono tra le competenze dell’ECOSOC (Consiglio Economico e Sociale) organo voluto unicamente a carattere consultivo.

Senza una riforma che proceda ad un cosiddetto upgrading dell’ECOSOC a vero e proprio “Consiglio” a pari poteri con quello di Sicurezza, o in assenza di precise sanzioni applicate con un meccanismo cogente per i singoli Governi, che una Dichiarazione finale di una Conferenza come quella di Parigi sia “vincolante” o meno sembra avere unicamente carattere diplomatico se non populistico. Certo, meglio poco di niente. Di gran lunga meglio una Dichiarazione finale a parole vincolante che un nulla di fatto. Un passo dopo l’altro chissà che non si raggiungano quegli obiettivi così urgenti che impongono i mutamenti climatici. Speriamo a Parigi perché il dubbio che il tempo sia scaduto è sempre più concreto. Nell’opinione pubblica e ancor di più nella grande maggioranza della comunità scientifica mondiale.

(articolo pubblicato su Vita.it)

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