I Governi finanziano i petrolieri, ma non la lotta ai cambiamenti climatici

La prossima settimana a Lima si apre la 20° Conferenza sui cambiamenti climatici (COP 20) e, come prassi, le mosse preparatorie  dei Governi si intensificano. A fronte delle altissime aspettative di una definitiva responsabilizzazione verso l’impellente necessità di affrontare con mezzi e strategie adeguate gli esiti di decenni di sviluppo insostenibile i segnali che giungono dai singoli Stati sono alquanto contraddittori.

L’esultanza che ha accompagnato il raggiunto accordo tra USA e Cina per un impegno comune nella direzione di ridurre le emissioni di CO2 siglato il 12 di questo mese, fatto tutt’altro che scontato sino a pochi mesi orsono vista la inamovibilità dei rispettivi Governi dalle loro posizioni refrattarie ad ogni inversione di rotta, è stata rapidamente smorzata  dagli ultimi posizionamenti in materia dell’India. Per bocca del suo Ministro per l’energia, Piyush Goyal, il governo di Nuova Delhi ha annunciato che “gli imperativi dello sviluppo dell’India non possono essere sacrificati sull’altare di un potenziale cambiamento climatico futuro che accadrà fra molti anni. L’Occidente dovrà riconoscere che stiamo affrontando le necessità della povertà”.  Una giustificazione questa, a favore del previsto raddoppiamento dell’utilizzo di carbone che dalle attuali 565 tonnellate annuali consumate passerà nel 2019 a ben 1.000.

Analogamente, l’impegno assunto a Berlino da 21 Paesi “inquinanti”  per stanziare 9.5 milioni di dollari per il Green Climate Fund, lo strumento ONU voluto alla Conferenza di Cancun per sostenere gli sforzi dei Paesi poveri per adeguarsi agli standard di sostenibilità ambientale, pur se nella giusta direzione resta una misura insufficiente e foriera di qualche perplessità.

Infatti, va innanzitutto ricordata la riduzione voluta delle rivendicazioni dei G77, il Gruppo raggruppante 133 Paesi tra i più poveri del mondo che all’inizio di quest’anno stimavano necessari 15 Milioni per un adeguamento efficace dei loro standard attuali ottenendo poi un impegno per soli 10 milioni i dollari. Questa cifra che ad un primo impatto sembrerebbe di tutto rispetto, va correlata ad altri tipi di investimento che i governi stanno sostenendo. Secondo il britannico ODI (Overseas Development Institute) i Governi dei G20 finanziano le società petrolifere nella ricerca di nuovi giacimenti con una somma annuale pari a 88 miliardi di dollari, cifra di poco inferiore ai 101 miliardi stanziati dagli stessi per la ricerca di fonti energetiche alternative e doppia rispetto a quanto investito privatamente dalle prime 20 società petrolifere.

Inoltre, non si può sottostimare come il positivo impegno per sostenere il Green Climate Fund sia offuscato da alcune condizioni poste dai Paesi donatori per il suo effettivo impiego. Ad esempio,  il congresso USA subordina l’effettivo esborso dei propri 3 milioni promessi all’andamento degli stanziamenti degli altri Paesi; o ancora la Francia ha dichiarato di voler erogare il proprio milione sotto forma di credito e non di dono, ovvero soldi prestati da restituire. In attesa dei comportamenti di Germania e Giappone, i due Paesi inquinanti che con i rispettivi impegni da 1 e 1.5 miliardi sono tra i grandi donors del Green Climate Fund, le preoccupazioni dei Paesi poveri e della società civile circa la reale disponibilità di queste risorse promesse restano altissime.

Pensando ai profitti miliardari delle società petrolifere finanziate con denaro pubblico, che giusto per avere un’idea hanno il loro apice nei 45 miliardi di utile fatto registrare nel 2012 da Exxon Mobil, gli sforzi e gli impegni dei governi per assicurare il futuro del nostro pianeta restano delle briciole insignificanti.

Iscriviti alla newsletter