Imprese, cooperazione e corruzione

Un ennesimo caso giudiziario sta coinvolgendo alcuni massimi dirigenti di una delle imprese nazionali più conosciute e più attive nei paesi poveri dei Sud del mondo. Lo abbiamo appreso dalle cronache quotidiane riportate dai nostri media: i vertici di ENI sembrano essere coinvolti in una maxi operazione di corruzione di governi africani per ottenere le concessioni di sfruttamento di giacimenti petroliferi per i proprio progetti industriali. La magistratura sta esaminando le pratiche relative al dirottamento di una quantità spropositata di milioni di Euro per acquisire le necessarie autorizzazioni delle istituzioni nigeriane per estrarre petrolio dai ricchissimi pozzi di questo Paese effettuate, tra gli altri, il suo ex Amministratore Delegato Paolo Scaroni.

Già, quello stesso Scaroni che in occasione del Forum sulla cooperazione internazionale organizzato a Milano nel 2012 dall’allora Ministro per la Cooperazione internazionale e le migrazioni Andrea Riccardi aveva invitato, non senza reazioni e critiche da parte della società civile italiana, ad intervenire nella sessione di apertura del Forum in qualità di main speaker in compagnia di leader africani di dubbia reputazione.  Ricordo ancora la prosopopea con la quale l’allora Amministratore Delegato di ENI spiegava al numerosissimo pubblico intervenuto in quel di Milano la bontà, l’utilità e le grandi prospettive per il futuro dei poveri africani e per le sorti della cooperazione allo sviluppo degli interventi di ENI che addirittura sembravano delineare la nuova via da intraprendere per garantire sviluppo e prosperità a poveri della terra. Così come non posso, ahimè, scordare le conseguenze pagate in prima persona per aver costruttivamente criticato il Ministro in quella occasione.  Scopriamo oggi, ma forse ne abbiamo solo una ennesima conferma, che quell’intervento era proprio contemporaneo a quelle azioni di corruzione sulle quali indagano i giudici !

Certo è che, ciononostante, l’approccio propinato da Scaroni trova buona collocazione nella cultura della cosiddetta nuova cooperazione internazionale. La nuova legge appena approvata in Parlamento, a riforma della vetusta Legge 49/87, recepisce infatti la necessità del pieno coinvolgimento del settore privato per lo sviluppo così come la recentissima Comunicazione della Unione Europea con la quale si definisce la posizione comunitaria per gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dei quali la comunità internazionale si sta dotando per i prossimi 15 anni prevede un partenariato con le imprese per il loro raggiungimento. E fin qui tutto bene. Fatto salvo che, Governo italiano in testa, le nostre istituzioni nazionali ed europee rifiutano di adottare un quadro legislativo vincolante al quale le imprese, soprattutto le multinazionali, si dovrebbero attenere nel loro agire a livello globale. Così le violazioni ai diritti umani e le pratiche di corruzione e di collusione con regimi locali da esse perpetrate in diversi casi e ampiamente dimostrate, dati alla mano, da rapporti di numerose organizzazioni di società civile attive nel campo della tutela dei diritti fondamentali resteranno ancora impunite e seguiteranno a caratterizzare l’azione di molte compagini imprenditoriali. A quanto pare, non solo appartenenti all’universo cinese, come da molte parti si vorrebbe far credere, ma anche della nostra evoluta cultura europea che a parole si erge a paladina dei diritti umani e riempie i propri documenti programmatici di farisaiche aggettivazioni dello sviluppo che vuole promuovere in giro per il mondo. Ovviamente, a detta loro, per il bene dei poveri e la prosperità di tutti.

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