E la FIAT se ne va

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La notizia è su tutti i principali media: la nuova società nata dalla fusione tra FIAT e Chrysler – Fiat Chrysler Automobiles – porta la propria sede in Olanda, i propri capitali in Gran Bretagna e i propri invertsimenti finanziari in USA.

I tentativi rassicuranti del premier Letta, che ha dichiarato come sia secondaria la collocazione della sede quanto il mantenimento dei posti di lavoro in Italia, mi lasciano al quanto perplesso. Pur vero nella sua ovvietà, ciò che mi risulta incomprensibile è come sia ammissibile che una società del calibro di FIAT che per anni ha goduto di privilegi, di sussidi, di agevolazioni e di politiche favorevoli pagate a caro prezzo dagli italiani, e soprattutto dagli operai nostri conncazionali, possa tranquillamente optare per allocare il doveroso contributo fiscale ad un altro Stato.

Nel migliore stile della delocalizzazione, anche la nostra impresa “statale” per eccellenza segue la vena aurifera più redditizia per massimizzare i propri profitti e guadagni. Certo, lo ribadisco, almeno per ora è fondamentale che i posti di lavoro negli stabilimenti italiani siano conservati, altre imprese non hanno esitato a trasferire anche i processi produttivi laddove il costo della mano d’opera è più vantaggioso per i proprietari, ovviamente. Ma gli sforzi sopportati dal nostro Paese e dalle tasche degli italiani per intervenire a più riprese nel sostegno e nel vero e proprio salvataggio della nostra principale azienda automobilistica meriterebbero almeno una maggior riconoscenza. Senza la quale, ci si augurerebbe, lo Stato dovrebbe prendere provvedimenti a tutela degli interessi dei propri cittadini.

Il grande Marchionne, presunto deus ex machina, si dimostra ancora una volta più che della patria salvatore della famiglia Agnelli.

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