Osama Bin Laden e Obama, ma che mondo è questo?

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Osama Bin Laden, il leader dell’internazionale del terrore Al Qaeda è stato ucciso il 2 maggio in una operazione condotta dagli Stati Uniti nei pressi di Islamabad da una piccola squadra Usa. Lo ha annunciato il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, parlando della maggiore vittoria Usa contro il terrorismo di questi ultimi tempi.

Ma io mi chiedo: che mondo è quello che scende in piazza alla morte di un uomo, anche se il peggiore dei criminali in circolazione, come per festeggiare la vittoria del mondiale di calcio? Un mondo nel quale la designazione dell’uomo più importante ed influente al mondo può variare significativamente sulla base di un blitz riuscito e che si è già scordato che a questo signore è stato assegnato il Premio Nobel per la pace non più di anno fa? Un mondo dove, per di più, il cambio di tendenza non ha nemmeno la conferma e le prove che quanto annunciato dagli stessi che stanno facendo la campagna elettorale per la rielezione di quell’uomo così potente sia davvero ciò che è accaduto e che ancora pensa che noi ci possiamo tranquillizzare con la favoletta della sepoltura in mare del terrorista più temuto a livello internazionale raccontata da quelle persone che in passato ci hanno detto bugie su bugie rispetto alle peggio cose accadute?

E che leader è quello crede di poterci rassicurare “solo” perchè ha ucciso il capo di un’organizzazione terroristica impostata alla scuola delle migliori accademie militari-criminali? O che, ancora peggio, si illude davvero che sia così definitivamente decapitata?

Infine, che società è quella nella quale è normale che si esulti per la messa in sicurezza del mondo intero e contemporaneamente si temano i peggiori attentati terroristici? Una società i cui decisori pensano di risolvere le crisi affidandosi all’intelligenza delle bombe?

Questo è il mondo che sentiamo ancor di più il bisogno e il dovere impellente di rendere migliore, più vero e soprattutto più pacifico, consapevoli che dopo il bliz americano intere popolazioni vivono nella paura di ritorsioni. In Pakistan, per esempio, i cristiani sanno per esperienza che, appartenendo a una minoranza sovente discriminata e qua e là brutalmente trattata, devono stare attenti, come racconta in una intervista a don Pietro Zago il giornalista di Famiglia Cristiana Alberto Chiara.

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