Stipendi ad Amnesty International come quelli delle multinazionali

Di qualche giorno fa la notizia clamorosa della esorbitante liquidazione offerta da Amnesty International alla sua ex Segretario Generale Irene Khan: al termine del suo decennio i lavoro presso la più conosciuta organizzazione per i diritti umani – la Signora Khan divenne il settimo Segretario Generale di Amnesty nell’agosto del 2001 dopo ventuno anni trascorsi alla Agenzia UNHCR – nel dicembre 2009 l’Organizzazione   le ha versato una “buona uscita” di 500.000 sterline (circa 600.000 Euro). Il fattaccio è stato reso pubblico da un sostenitore di Amnesty che, indignato per tale decisione, lo denunciava su un importante quotidiano inglese affermando inoltre di non voler più sostenere l’organizzazione. Per tutta risposta, il Presidente del Comitato Esecutivo di Amnesty International Peter Pack – come riportato sulle colonne del Corriere della Sera del 19 febbraio u.s – ha tenuto a precisare che ciò non si sarebbe ripetuto in futuro, e che il successore della Signora Khan alla guida dell’Organizzazione riceverà uno stipendio allineato alla “media delle retribuzioni del no profit”. Ovvero, secondo lui, intorno alle 150.000 sterline al mese !!  Non voglio qui commentare il fatto che alla signora Khan succede Salil Shettty, conosciuto nell’ambiente per aver sino a ieri coordinato la Campagna delle Nazioni Unite per gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Campaign) ottenendo risultati a dir poco disastrosi. Sono fatti di Amnesty decidere di “premiare” tali performance con simili retribuzioni. Ciò che invece vorrei commentare è che diventa sempre più imperativo avviare una “operazione trasparenza” al fine di poter distinguere tra le innumerevoli e variegate organizzazioni no profit.  Non so quali siano i parametri presi in considerazione dal Comitato esecutivo di Amnesty, certo so bene che simili livelli salariali sono ben distanti dalla media delle retribuzioni delle no profit, senza dubbi in Italia, ma anche nella stessa Gran Bretagna. E’ sempre più urgente chiarire al pubblico e a chi dona denari per la solidarietà che non tutte le organizzazioni sono di “volontariato” e che molte, a quanto pare Amnesty in testa, utilizzano parametri salariali paragonabili a quelli delle grandi aziende multinazionali. Nulla di male, a mio parere, a patto che la chiarezza e la trasparenza siano garantite anche nei linguaggi e nei messaggi utilizzati dalla organizzazioni quando chiedono il supporto e il sostegno dei cittadini.  Così che essi possano scegliere e non stupirsi a posteriori, come fatto dal sostenitore di Amnesty, e rischiare di “fare di ogni erba un fascio”.

(articolo pubblicato su Repubblica.it)

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