Lotta all’evasione fiscale, ma il conto lo paghiamo ancora noi

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Nei giorni scorsi la Procura di Bergamo ha “beccato” l’ennesimo grande evasore del fisco italiano. Una nota ditta che commercia apparecchi elettronici per la cura del corpo e il fitness, secondo gli inquirenti avrebbe trasferito in Liechtenstein 24 milioni di euro derivanti da ricavi delle vendite sui quali nulla è stato versato all’erario. E oggi, sui principali media nazionali viene dato l’annuncio della entrata in funzione del “grande occhio fiscale”. Una nuova struttura creata dalla collaborazione tra Ministero del Lavoro, INPS, INAIL e Agenzia delle Entrate con l’obiettivo di effettuare entro fine anno, 300.000 mila controlli su imprese, aziende e datori di lavoro e fare emergere lavoro nero e frodi al fisco. Se lo Stato fa bene a procedere con rigorosità a smascherare comportamenti e procedure illecite che tutti sanno quanto danno provocano ai danni delle già magre e traballanti casse statali, difficile comprendere perché non si proceda contemporaneamente alla eradicazione delle situazioni strutturali che facilitano evasori e “furbetti” a truffare lo stato. Il commerciante sopra citato, così come la stragrande maggioranza degli evasori scoperti con l’operazione “scudo fiscale” lanciata dal Governo nei mesi scorsi, hanno potuto spostare i capitali accumulati nei cosiddetti “paradisi fiscali”. Veri e propri “buchi neri” della finanza internazionale costituiti da piccoli Stati  privi di regolamentazione finanziaria, non rispettosi dei trattati di scambio di informazioni bancarie, nei quali vige il segreto bancario grazie al quale i denari provenienti da evasioni, traffici illeciti e riciclaggio di denaro della criminalità organizzata. E se la grande informazione in passato si è occupata di queste realtà, lo ha fatto – come nel caso del crack PARMALAT e CIRIO – per parlare di Isole Cayman o delle Barbados. Mai che si evidenzi come anche qui nella progredita Europa, esistano “paradisi fiscali” più a portata di mano, forse più “sicuri” per i contribuenti di questi regimi fiscali fuorviati. Svizzera, Principato di Monaco, Repubblica di Andorra,  San Marino e, per l’appunto, Liechtenstein figurano ancora oggi nella cosiddetta “lista nera” che l’OCSE ha stilato per stigmatizzare i “paradisi”. Così, noi contribuenti e  lavoratori italiani paghiamo prima con le nostre tasse, poi con gli “sconti” offerti dallo Scudo fiscale a chi avrebbe rimpatriato i capitali evasi, e infine finanziando le necessarie ma costose strutture di controllo. La messa al bando dei paradisi fiscali, come da tempo andiamo chiedendo, darebbe un duro colpo all’evasione, contribuirebbe a smascherare e bloccare traffici illeciti e, soprattutto, farebbe diminuire i costi della lotta alla evasione e alla frode fiscali. La proposta è così semplice che porta a dubitare che la sua mancata applicazione faccia comodo a molti. Speriamo almeno che  qualcuno altro di loro finisca sotto mira dell grande occhio.

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