La Palestina sia icona di tutti i soprusi

Ieri sera, con grande convinzione e sentita solidarietà ho partecipato al “flash mob” per la Palestina organizzato in Piazza Garibaldi a Cantù. Una bella manifestazione, partecipata, doverosa e necessaria in una città la cui Amministrazione non batte un colpo rispetto ad una tragedia che sta coinvolgendo il mondo intero, portando 150 Governi di altrettanti Paesi a riconoscere lo Stato di Palestina e mobilitando la società civile di ogni parte e partito che ancora possiede un briciolo di umanità e un minimo di indipendenza da luoghi comuni e egoistici interessi strumentali.

Al termine della manifestazione, sono stati annunciati i prossimi numerosi appuntamenti previsti per ancora solidarizzare con la martoriata popolazione palestinese. Per questo, sommessamente e ancora grato nei confronti degli organizzatori, mi permetto di avanzare alcuni suggerimenti per le prossime iniziative. Suggerimenti di linguaggio che, tuttavia, in un tale contesto così drammatico e conflittivo rivestono carattere di sostanza.

Innanzitutto, ricordando la distinzione tra “lo Stato di Israele” e il governo criminale del suo premier. Qualsiasi Stato è anche il suo popolo, e non solo la sua autorità. Accomunare i sempre più numerosi israeliani schierati contro le decisioni criminali di una parte del loro governo, scesi in piazza in difesa di altri concittadini, manifestantisi ostili alla guerra, contrari all’invasione di Gaza e all’occupazione dei Territori da parte dei Coloni è ingiusto e irrispettoso. Ingiusto come sarebbe accomunare la popolazione palestinese con Hamas, gli afghani con i Talebani, i libanesi con Hezbollah, gli islamici con la jihad ….. gli statunitensi con Trump e gli italiani con Meloni, Salvini o Vannacci. Un errore, questo, che la piazza di ieri, ne sono certo, non commette.

Per questo, meditare qualche testimonianza dei tanti resilienti e pacifisti israeliani tra le numerose fornite da vittime palestinesi, lette in piazza ieri, darebbe un segno ineluttabile e non strumentalizzabile – cosa che immagino stia capitando da parte di chi pronto a sviare la solidarietà verso la partigianeria politica – del profondo significato del manifestare a favore del popolo palestinese: quello di stare dalla parte della giustizia, della pace e del diritto internazionale. Sarebbe anche un gesto intelleggibile dell’assenza di confusione tra antisionismo e antisemitismo dei partecipanti e dei tanti promotori di questa mobilitazione.

Stare fermamente dalla parte dei palestinesi deve essere una forma iconica dello stare dalla parte degli oppressi e delle vittime, dalla parte della pace, dalla parte del diritto e dei diritti di qualsivoglia Paese, Stato e Nazione. Allora non guasterebbe, e non avrebbe guastato ieri, almeno una citazione degli altri 50 scenari di guerra, oppressione, violazione di diritti, soprusi, torture, massacri, ecc. che nel mondo stanno vivendo milioni di civili inermi non secondi alla popolazione palestinese. Altrimenti, vorrebbe dire condividere la teoria del caso, del fato e della fortuna/sfortuna dell’essere nati in una o nell’altra parte di questo pianeta. Peggio, fiancheggiare le farneticanti tesi di suprematismo o di superiorità di questa o quell’altra cultura, di quella o quell’altra razza ancora riecheggiate domenica dal pratone e dal palco in quel di Pontida.

Lo ripeto: per me stare dalla parte della popolazione palestinese e aderire convintamente alle manifestazioni di solidarietà nei suoi confronti ha come condizione sostenere che pace, diritti, giustizia, autodeterminazione dei popoli, rispetto delle culture, delle fedi e delle civiltà sono le pietre miliari di un futuro sostenibile nel quale le persone possano godere del diritto alla vita e ad una vita dignitosa, pacifica e, possibilmente, prospera. In Palestina, in Ucraina, in Israele e in Russia. Come in Congo, in Niger, in Sudan, in Venezuela, in Perù, in Iraq, in Pakistan, nelle Filippine …….. indignandomi con la medesima intensità per 50 volte.

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