Debitori di chi?

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Le tante e belle parole spese per la sostenibilità, lo sviluppo umano, la responsabilità verso gli altri e l’ambiente si infrangono contro l’evidenza dei numeri e dei fatti.

A riportare alla realtà delle cose ci ha provato il “Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale” della Santa Sede emettendo una “Nota” formulata sulla base di uno studio condotto dalle ONG CAFOD (per capirci la Caritas inglese) e JENA (rete di ONG africane che fa capo ai Gesuiti) con la consulenza scientifica della Deloitte.

In estrema sintesi potremmo dire che con questa iniziativa, che origina da concetti cari a papa Francesco e battaglie decennali di molte organizzazione di società civile, la Santa Sede intende riaffermare l’interdipendenza tra Paesi ad alto reddito e Paesi in Via di Sviluppo, tra debito economico e debito ecologico e quindi, ribadire l’urgenza di riconoscere ai Paesi a basso reddito un Credito ecologico-ambientale sino ad oggi mai considerato nei computi del dare-avere internazionale, né tanto meno mai rimborsato.

La necessità e l’urgenza di una profonda rivoluzione delle regole economiche e di una pesante ristrutturazione dell’architettura finanziaria internazionali altro non sono che gli strumenti auspicati con la Nota in vista di un reale risultato di maggiore giustizia sociale ed economica globale e, in definitiva, di un futuro sostenibile, pacifico e più sicuro.

Sintetizzo di seguito le cifre più eloquenti del citato studio per comprendere un po’ più approfonditamente di cosa si sta parlando.

Negli ultimi 15 anni, il debito estero dei Paesi poveri – d’ora in poi “impoveriti” come preferisco definirli – è cresciuto del 113% raggiungendo i 15mila miliardi di dollari. Nel 2023, gli stessi Paesi hanno sborsato 971 miliardi di dollari per pagare unicamente gli interessi del loro debito (il cosiddetto “servizio del debito”). Cifre e percentuali che lasciano facilmente intuire come tali ingenti risorse, ancor più in Paesi a basso reddito, non possano che essere distratte dalla spesa per servizi essenziali e dagli investimenti per lo sviluppo economico e sociale. Anche perché, dei 49 Paesi con più alto indice di diseguaglianza ben 48 sono Paesi impoveriti dei Sud del mondo.

L’altro lato della medaglia, se così possiamo dire, è riempito dai dati che riguardano i Paesi ad alto reddito, cioè ricchi e per molti identificati come “sviluppati”. Il loro impatto climatico, ossia l’incidenza del loro modello di sviluppo su ambiente, clima, inquinamento, biodiversità ecc., è 10 volte superiore a quello dei Paesi impoveriti, mentre la produzione pro capite di Gas serra (inquinanti e responsabili dei cambiamenti climatici) è di 4 volte maggiore di quello di un abitante dei Sud del mondo. Sebbene in questi Paesi ricchi viva il 16% della popolazione mondiale, il loro fabbisogno in materie prime e minerali preziosi corrisponde al 74% di quello globale.

Ora è vero che, come continuamente sbandierato negli ultimi mesi, i Paesi ad alto reddito hanno stanziato risorse in favore di quelli impoveriti (115,9 miliardi di dollari nel 2022), ma è altrettanto realtà che solo il 10% di questi stanziamenti sono stati destinati ai Paesi a basso reddito, avendo privilegiato quelli a medio reddito ben più redditizi e profittevoli in termini di ritorno economico e di business futuro.

Così come è realtà, ma questa volta del tutto sottaciuta, l’enorme entità del credito ambientale ed ecologico accumulato da decenni dai Paesi impoveriti a seguito delle estrazioni minerarie, degli espropri terrieri (il cosiddetto land grabbing), della deforestazione, delle perforazioni petrolifere, della perdita di biodiversità fino ad arrivare ai casi di vera e propria contaminazione di terre e ambiente, principali cause di migrazioni forzate di decine di migliaia di persone. Credito, ovviamente, mai contabilizzato nella bilancia dei pagamenti, né detratto a compensazione dei debiti finanziari vantati, e regolarmente esigiti ed incassati, dai Paesi ricchi. Anche quando prestiti e finanziamenti generatori del debito pubblico dei Paesi impoveriti sono stati concessi a dittatori, guerrafondai, criminali di guerra, violatori seriali dei diritti umani senza alcuna ricaduta sulla popolazione e sullo sviluppo dei Paesi.

Le prospettive future sono evidenti e comprovate. L’aumento del fabbisogno di materie prime che, in assenza di riconversioni, contraddistinguerà lo sviluppo dei Paesi ricchi andrà di pari passo con l’aumento delle persone forzate a migrare per invivibilità dei propri territori, per eventi metereologici catastrofici, per aumento delle disuguaglianze e della povertà o per le guerre foraggiate dal business delle armi. Nel 2023, dei 20 milioni di persone costrette a migrare in altri luoghi il 70% proveniva da Paesi impoveriti dei Sud del mondo.

Il mantenimento del livello di vita di quel bengodi che, nonostante tutto, i Paesi ricchi rappresentano per le popolazioni di quelli impoveriti, di questo passo avrà un bisogno crescente delle risorse dei Paesi poveri. Continuare a pretendere di poterne disporre a piacimento e senza nemmeno riconoscere ad essi il dovuto è una pura illusione alimentata da una prepotenza insopportabile, tanto quanto insostenibile. I primi sintomi di insubordinazione all’attuale statu quo, dettato dalla prepotenza e dal delirio di onnipotenza di quel 16% di umanità che sta tutto sommato bene e si crede padrona del mondo, si sono già chiaramente manifestati.

Intelligenza, lungimiranza o almeno saggezza e prudenza, vorrebbero che l’invito della Santa Sede venga preso in seria considerazione. A partire da quella maggioranza di italiani che, anche dalle alte sfere del potere, si dichiarano cattolici praticanti. 

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