La Chiesa che sorprende con l’esempio

Definirlo un evento inedito vorrebbe dire sminuirne il valore e il significato. Il documento conclusivo presentato dalla Conferenza Episcopale Italiana all’Assemblea sinodale è stato “rimandato a ottobre” da parte dei Delegati riuniti a Roma la scorsa settimana. Un fatto che, alla luce della superficialità, rasenta il paradosso.
L’organismo per antonomasia ritenuto tra i più direttivi e autoritari, la Chiesa cattolica, ha dato una dimostrazione di vera democrazia. Se per democrazia intendiamo la partecipazione decisionale del popolo, in questo caso del popolo dei fedeli, allora l’Assemblea sinodale conclusasi la scorsa settimana, la Chiesa intera e la sua gerarchia hanno dimostrato di incarnarla in modo ben più coerente di molte altre istituzioni che democratiche dovrebbero esserlo per definizione e per dovere.
I fatti. Al termine di un confronto avviato tre anni orsono, la Conferenza Episcopale ha presentato il documento di sintesi delle discussioni, delle proposte e anche delle critiche emerse durante il cammino. Tre lunghi anni di dibattito articolati in una fase narrativa (2021-2023), una fase sapienziale (2023-2024) e infine quella profetica di questo 2025. Nelle intense giornate dell’Assemblea romana, il Comitato nazionale incaricato di coordinare i lavori ha deciso di rimandare al mittente il testo delle proposte (le “Proposizioni”), intitolato “Perché la gioia sia piena”, perché «provveda alla redazione finale accogliendo emendamenti, priorità e contenuti emersi» ed evidenziati dai mille delegati giunti a Roma da tutta Italia. Una rielaborazione che comporta lo slittamento dell’approvazione del documento finale al prossimo 25 ottobre, e il rinvio a novembre dell’’Assemblea generale della Cei prevista per maggio.
I motivi? Le critiche di eccessiva densità e scarsa comunicabilità, scarso recepimento della ricchezza delle posizioni emerse nella discussione e, soprattutto, richiesta di ulteriore confronto e approfondimento su alcune tematiche cosiddette “sensibili”. Formazione degli adulti, ruolo delle donne nella Chiesa, accompagnamento dei giovani e delle famiglie “ferite”, peso degli organismi di partecipazione come i Consigli pastorali parrocchiali, ruolo e compiti delle Caritas, diritti dei “diversi”, sono alcune delle principali questioni che per i Delegati necessitano di ulteriore confronto.
Di fronte a tutto ciò, scrive Pierangelo Sequeri su Avvenire, “L’autorità responsabile ascolta le ragioni della inadeguatezza e dispone le condizioni di un ascolto più adeguato. Nessun muro contro muro, che mette in stallo fra loro le proposizioni e l’insoddisfazione. La dialettica non si irrigidisce in competizione fra gli opposti, si apre alla trasformazione dell’intero ….. La dialettica è didattica”.
Un comportamento dal sapore di innovazione, di rivoluzione silenziosa, di ricomposizione di quello “scisma sommerso” vissuto nel popolo di Dio ed evidenziato, già alla fine del secolo scorso, con il libro dal medesimo titolo del grande filosofo Pietro Prini. “Benvenuti nell’era della sinodalità ecclesiale”, incita ancora Sequeri. Benvenuta l’era di una Chiesa ancor più “di popolo”, immersa nel mondo. “In cammino”, come auspica papa Francesco.
Sinodo è vocabolo che solo la nostra cultura ha confinato alla sfera ecclesiale. Non così alle sue origini greche, laddove sinodo stava per assemblea o adunanza deliberativa. Nemmeno in astronomia che lo definisce come “congiunzione di astri”. Sarebbe utile lo riscoprissimo tutti. Sarebbe un enorme passo in avanti lo ricordassero tutte le autorità costituite.
Ammettere un ripensamento, valorizzare le diversità e riconoscere l’inadeguatezza di quanto prodotto fa onore a chiunque. Ancora di più se a farlo è chi è in potere di calare altre carte.