La Segretaria, la Giubiana e il PD

Ho atteso l’indomani prima di mettere a terra ciò che mi passa per la testa dopo le dichiarazioni della Segretaria del PD cittadino sulla “Giubiana”. L’ho fatto nell’intento di soppiantare le prime incredulità, le seconde sbalorditività e i successivi sconcerti con un pizzico di razionalità che non incedesse a grillino frasario.
Così ho ritenuto, anche aspettando le scontate reazioni che, nel consolidato format editoriale de “La Provincia” dove le esternazioni di cui sopra hanno avuto eco, sarebbero immancabilmente apparse il giorno successivo. Come a dire, stando alle strategie comunicative vincenti, che conta è il primo sasso scagliato. E se a tirarlo, come nel nostro caso, è chi riveste un ruolo pubblico nel panorama cittadino il tonfo della sua caduta suscita ancora più clamore. Anche perché la Segretaria PD non si è sin qui distinta per un elevato tasso di occupazione dei media locali e di rado ha pubblicizzato posizioni e pronunciamenti. Nemmeno su questioni di rilevanza ben superiore per la città e di immanenza ben più importante per i canturini.
Personalmente, ritengo questo atteggiamento “schivo” un pregio per chi ha assunto oneri di rappresentatività di realtà plurali. Credo, cioè, che quando questi si esprimono lo debbano fare per questioni dirimenti, distintive, urgenti, progettuali, prospettiche; consapevoli del peso di dichiarazioni espresse in nome e per conto di altri; assumendo l’onere della sintesi, o quanto meno del parere di maggioranza. Sempre mettendo in conto dissenso e critica non solo da campo avversario, ma originati dal diritto di libero pensiero da sempre garantire anche in casa propria. Soprattutto, appunto, per questioni e problematiche rilevanti.
Tutto ciò, a Cantù e in queste ore, sembra essere illusorio, fantascientifico, avveniristico o nostalgico. Con tutta probabilità ulteriormente perdente e repellente. Posizioni di privilegiato intellettualismo, di aventiniano snobbismo, di aristocratico isolamento, di rappresentanza minoritaria, di beato arroccamento, alimentano altrettanto esiziali disquisizioni, erudite precisazioni e roboanti declamatorie di chi gioca nell’altra metà del campo “di casa”, per di più con i tre quarti dello stadio a far tifo in suo favore.
Tutto ciò, soprattutto, rinfuoca le discussioni nei bar, nutre le chiacchere dell’humus infrapolitico, suscita ilarità ai distributori automatici dei luoghi del quotidiano lavoro, ridà virulenza al virus dell’astensione che da tempo tanto corrode certa parte dell’elettorato. Tutto ciò non serve né alla politica né alla città. Tanto meno a una compagine elettorale.
Per accorgersene e possibilmente rimediare, basterebbe frequentarli quei luoghi, mischiarsi un po’ di più tra la gente comune, immedesimarsi nei comuni mortali, interpretarne le priorità, interloquire con i loro linguaggi, captarne gli umori. A cominciare dall’esserci giovedì sera in Piazza Garibaldi insieme ai canturini che, per dirla con Bertoli, “si masturbano per il gusto”. E in Piazza, giovedì, saranno in tanti.
Caro Sergio.
Già dal tuo scrivere non sembra il tuo modo di scrivere. Certo non frequento i bar dove l’intelighenzia basica cantutina si confronta ogni mattina e a volte anche da mattina a sera.
Il PD non dice che la tradizione del rogo va eliminata. Dice che non bisogna mettere niente sulla catasta, sulla pira. Dice che si brucia un falò che illumina la notte invernale. Senza niente sopra.
Quello che penso è che FINALMENTE si è posto il problema, il punto centrale del femminicidio. Del valore delle donne!
Non possiamo andare avanti dal 1950 con la stessa finta sceneggiata della Giubbiana / Castellana. L’hanno inventata negli anni 50 un gruppo di canturini della Pro Cantù per farsi pubblicità rispetto agli altri roghi per la fine dell’inverno che in tutta Europa venivano fatti da ….secoli. Il rogo si faceva da sempre”, ma si usavano i mergasch, e sopra non c’erano ne donne e neanche streghe.
Che un personaggio come te, intellettuale, ricercatore e dirigente di Associazioni internazionali, ponga il tema di non modificare, di confermare e di credere nella favola diventata “popolare”. E che quando una Segretaria locale del PD si pone problemi, propone temi e modi di andare avanti in una città che passa dalla Giubbiana al Supermercato diffuso, dovrebbe, per stare vicino al “popolo” e andare in piazza Garibaldi a festeggiare il rogo con sopra l’idea di una donna traditrice della città, forse anche del popolo, mi sembra insopportabile. Specialmente se detto da persone come te che hanno girato il mondo portando in alto l’idea dei popoli sottomessi alla cultura e e al potere dei “vecchi” proprietari del vapore.
Un abbraccio.
Angelo
Caro Angelo
capisco, e per certi versi approvo, la difesa d’ufficio della tesi che, sono sicuro, avrai sostenuto e pubblicizzato partecipando al rogo di giovedì scorso.
Ciao Sergio. Non sono l’Angelo Orsenigo a cui hai risposto. Hai inviato la tua risposta a Angelo Clemente Orsenigo, consigliere regionale Pd.
Io sono Angelo Orsenigo, del Pd Cantù, che bazzica al Parco del Bersagliere, che non va in piazza alla Giubiana da tanti anni e che continua a mangiare il risotto con la luganiga l’ultimo giovedì di gennaio.
Sono favorevole alle tradizioni ma mi permetto anche di criticare il femminicidio. Per alcune persone invece, è una cosa tradizionale. Che va mantenuta nella cultura e lasciata ai posteri.
Comunque ho sempre avuto stima di te e non cambio certo idea per questo piccolo distinguo tra di noi.
Un abbraccio.
“Tutto ciò, a Cantù e in queste ore, sembra essere illusorio, fantascientifico, avveniristico o nostalgico. Con tutta probabilità ulteriormente perdente e repellente. Posizioni di privilegiato intellettualismo, di aventiniano snobbismo, di aristocratico isolamento, di rappresentanza minoritaria, di beato arroccamento, alimentano altrettanto esiziali disquisizioni, erudite precisazioni e roboanti declamatorie di chi gioca nell’altra metà del campo “di casa”, per di più con i tre quarti dello stadio a far tifo in suo favore”.
Io trovo particolarmente esatta questa descrizione dell’assetto civico canturino, ma forse per motivi speculari rispetto a quelli che essa fotografa. La sua pur alta risoluzione fotografica sembra rimanere incapace di cogliere un aspetto determinante di tale assetto: la presenza di una ipocondriaca attenzione alla ‘purezza del sangue’ e la conseguente ammissione all’effettivo dibattito solo tra ‘consanguinei culturali’. Ciò sul piano politico comporta una oggettiva debolezza strutturale nell’alternativa effettiva alle destre. Una debolezza che di fatto i cultori di tale purezza preferiscono rispetto al ‘rischio’ di una contaminazione della loro rappresentanza culturale; ciò in una sorta di ‘prevalga pure la destra purché il nostro splendore campanilistico rimanga puro’ ed in tal guisa esso possa comunque vegliare e sorvegliare la Città. Un altro ‘beato arroccamento’ dunque, simile a quello lungamente praticato dalle antiche casate nobiliari, le quali usavano incrociarsi soltanto tra consanguinei.
Peccato che la sua bella ed apprezzabile immagine non lo colga.