Il Diritto internazionale invocato solo quando fa comodo

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Cecilia Sala va liberata. Subito e senza condizione alcuna. Lo chiede la giustizia, prima e più del diritto internazionale. Quel diritto internazionale ancora una volta tirato per la giacca a seconda degli interessi, del coinvolgimento, della vicinanza agli affetti, alle sofferenze, alle cause, agli obiettivi e alle strategie geopolitiche di questa o quell’altra parte.

L’Italia rispetta il diritto internazionale in merito alle condizioni di detenzione dell’ingegnere iraniano Mohammad Abedini incriminato dagli Stati Uniti di collusioni con il terrorismo islamico per aver venduto parti di ordigni bellici alle milizie jihadiste e oggetto di inaccettabile scambio tra le parti. Gli USA rispettano il diritto internazionale non chiedendo, al contrario degli iraniani, analogo scambio di ostaggi visto che, cosa per loro non così remota o impensabile, non hanno proceduto con il porre sul piatto della bilancia un detenuto italiano nelle carceri statunitensi. Che già ci fosse, o che avrebbe potuto essere facilmente reso tale dagli spregiudicati servizi d’oltre oceano.

L’Iran no. È fuori dubbio. Non lo fa da tempo. Contravvenendo e ripudiando l’unilateralità delle regole fissate dalla comunità internazionale accusata di occidentalismo e partigianeria, per essere eufemici. Non lo sta facendo nemmeno nei confronti di Cecilia la cui unica colpa è quella di avere svolto, ancora una volta, il dovere di una giornalista di frontiera, al servizio dell’informazione imparziale, oggettiva, indipendente e giusta. Non lo fanno detenendo Cecilia nelle medesime condizioni di centinaia di iraniani criminali, nemmeno per i quali, sempre alla luce del diritto internazionale e della giustizia umana, si possono accettare condizioni di reclusione disumane, ma anche di dissidenti politici o presunti tali.

La logica deduzione da simile situazione, quantomeno ai sensi della umana ragionevolezza, è che nessuna condizione, tanto meno una ricattatoria, possa giustificare il comportamento delle autorità di Teheran. Ciò che vado di seguito a sostenere, sia ben chiaro, per nulla scalfisce quanto sin qui asserito. Cecilia va liberata. Subito. Senza condizione alcuna.

Chiarito ciò, tuttavia, si impone il dovere di qualche considerazione ulteriore in merito a quel diritto internazionale che sempre più di frequente rassomiglia ad un menù alla carta, dal quale gli avventori di turno prendono o scartano ciò che più o meno li aggrada. Secondo i gusti. Secondo il momento o il contesto. Sulla base di interessi ed obiettivi che, a volte o spesso, con esso poco hanno a che fare. Sembra ormai consuetudine ricorrere alla saggezza e alla inesorabilità di questo istituto ispirato da passata saggezza della comunità internazionale, solo nella misura in cui essa coincide con le finalità o gli opportunismi di politiche miopicamente ripiegate su obiettivi consensuali, populisti, strumentali, elettoralmente redditizi.

E’ dogma del diritto internazionale il rispetto e la tutela della vita umana indipendentemente dalla sua condizione contingente. Siano essi violati nei conflitti alimentati ad arte dalle forze occulte dell’occidente e delle potenze emergenti orientali; dalle dittature guarda caso ancora sopportate anche dai presunti paladini della democrazia; sui barconi della speranza che sfidano l’incognita delle traversate mediterranee; nei centri temporanei per l’immigrazione; nel sovraffollamento delle carceri, anche e in primis delle carceri italiane; nelle bidonville e negli slum dimenticati delle periferie delle metropoli dei Sud del mondo, nei quartieri abbandonati delle città, anche e in primis di quelle italiane; sotto i porticati, arcate esemplari delle nostre intangibili insensibilità che sopportano i senza tetto, se non quando li si aggredisce all’insegna degli slogan “Eja, Eja, Allala”.

E’ principio del diritto internazionale ripudiare le guerre, costruire la pace, sconfessare la pena di morte, sconfiggere la fame e la miseria, tendere ad un’equa distribuzione delle ricchezze, rispettare il creato, non abusare delle risorse e dei beni comuni, riconoscere i diritti dei popoli nativi, favorire l’autodeterminazione delle comunità e dei popoli, instaurare condizioni di vera democrazia, porre fine allo sfruttamento minorile e garantire condizioni dignitose ad ogni lavoro e a tutti i lavoratori, favorire le pari opportunità tra generi e tra popoli, valorizzare le diversità e l’integrazione delle culture ritenendole di pari valorialità e di reciproco vantaggio.

Sono determinazioni del diritto internazionale il mandato di arresto per dittatori, criminali di guerra e mercenari al servizio di inappuntabili governanti, le condanne per violazione degli standard ambientali imputate a grandi potenze industriali, le misure da intraprendere per porre fine alle speculazioni finanziarie svincolate da ogni legame con l’economia reale che affamano interi Paesi, la cancellazione del debito ingiusto e opprimente che soffoca ogni anelito di sviluppo di buona parte dei Paesi impoveriti dei Sud del mondo.

Elencare in poche righe, e con una scarsa capacità, le reiterate, continue, deliberate, sottaciute, mascherate violazioni del diritto internazionale perpetrate ad intermittenza da questo o quell’altro governo è impresa incompatibile con la pazienza del lettore.

Quelli citati vogliono solo essere esempi con i quali comprendere, o quanto meno riflettere, che sino a quando il diritto internazionale resterà un grimaldello giustificatorio di scelte e reazioni sottomesse e piegate ad interessi di parte, ancorché giusti e condivisibili, a sentimenti epidermici e schieramenti provvisori, l’incertezza sul futuro bussa alle coscienze di chi ancora coscienza ha.

Cecilia Sala va liberata subito dalle sgrinfie degli aguzzini iraniani. Senza condizioni. In nome e per conto di quel diritto internazionale anch’esso da liberare, subito e senza condizioni, dalle interpretazioni di comodo e dal setaccio di presuntuosi, ambiziosi, cortoveggenti governuccoli di turno refrattari a comprendere l’indissolubilità delle due sorti.

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