COP 29: il futuro svenduto ai lobbisti

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Nella diffusa indifferenza mediatica e politica, in questi giorni a Baku – Azerbaijan, si sta svolgendo la 29° Conferenza delle Parti sui cambiamenti climatici (COP). La defezione di alcuni dei principali leader delle grandi potenze mondiali, ovvero dei Paesi responsabili della maggior parte dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici in corso, va di pari passo con il disinteresse di buona parte dei media e dell’informazione internazionale. Italiana compresa.

Hanno deciso di non presenziare, tra gli altri, Biden, Macron, Sholz, Lula e Ursula von der Leyen. Il depotenziamento di questo appuntamento organizzato annualmente dalle Nazioni Unite per fronteggiare l’impressionante escalation dei danni e delle tragedie ambientali, degli eventi climatici eccezionali e per far fronte ai sintomi ormai conclamati di un pianeta ammalato, che in assenza di decisioni e scelte coraggiose si avvia ad un rapidissimo ed irreversibile declino, segna un preoccupante arretramento rispetto agli impegni sottoscritti in quel di Parigi nella storica COP del 2015.

Assenze e indifferenze che sembrano rappresentare una definitiva resa alle logiche economiche estrattive vieppiù incuranti degli effetti secondari della rincorsa a sempre maggiori profitti immediati. Sempre più indifferenti a dati, situazioni, numeri, contesti che inchiodano alla ridicolaggine, non fosse drammaturgia, le tesi negazioniste avvallate e fatte proprie da politici acchiappa voti. E se nemmeno bastano le immagini di Valencia, di Catania o di Miami; se non fanno tremare nomi come Milton, Tip, e quelli degli altri devastanti uragani degli ultimi anni; se già si sono scordate le 183mila vittime dello tsunami del 2004 in Thailandia; se non ci si decide nemmeno di fronte alle terribili tragedie di intere regioni inaridite, di raccolti agricoli persi, di aziende sul lastrico, di famiglie senza più una casa, di territori franati, figuriamoci se possono turbare l’aumento del 26% in quattro anni di chi, nei Sud del mondo, soffre la fame -solo nel 2023, ben 152 milioni di persone in più rispetto al 2019 – o i 120 milioni di profughi ambientali.

Con l’Accordo di Parigi 2015, i Governi decisero di adottare senza indugio misure drastiche per arrestare l’innalzamento delle temperature atmosferiche e ridurre le emissioni inquinanti entro scadenze precise. Poi, come noto, ci si è messo Trump. L’allora Presidente USA, tra le prime mosse del suo mandato decise di sfilarsi dall’Accordo siglato a Parigi, aprendo la breccia ad altri compari e, di fatto, rendendo inattuabile ogni risultato utile visto l’enorme carico di responsabilità sulle spalle degli USA che ancora oggi contribuiscono alle emissioni nocive per il pianeta con percentuali del 22 – 25% del totale. Oggi, in buona compagnia, alle tesi del Tycoon si accoda il nostro Governo che sobilla il popolo contro le misure adottate dalla UE in materia di conversione energetica. Bollandole come “favorevoli” alla produzione di auto elettriche cinesi, piuttosto che ammettere la poca lungimiranza delle politiche nostrane e i ridicoli investimenti nell’innovazione tecnologica delle nostre industrie.

Come se non bastasse, a mettere in discussione la credibilità delle COP, al di là dei comunicati e delle dichiarazioni finali di bon ton sempre approvate nelle precedenti edizioni, dallo scorso anno ci si mettono pure le decisioni logistiche e le scelte organizzative. I due ultimi Paesi ospiti, rispettivamente Emirati Arabi Uniti e Azerbaijan, sono notoriamente due grandi venditori di prodotti fossili e, guarda caso, entrambi hanno affidato la presidenza dei lavori delle rispettive COP a personalità perlomeno discutibili. Il primo al manager della principale industria petrolifera nazionale, l’altro dal Ministro per l’Ecologia e le Risorse naturali già dipendente della compagnia petrolifera di Stato.

Tralasciando le numerose critiche sollevate dalle Organizzazioni di società civile per i diritti umani in merito alla scelta di un Paese come Azerbaijan, notoriamente compromesso in loro reiterate violazioni, nemmeno le richieste di una presidenza più “imparziale” hanno evidentemente trovato udienza nei decisori mondiali.  I quali, come spesso, hanno utilizzato il triste escamotage della non ingerenza nelle scelte di singoli governi per sfruttare l’occasione propizia. Giustificazione addotta, come dimostrato in innumerevoli casi, a seconda delle convenienze e delle circostanze più o meno favorevoli a questo o quell’altro Governo. I più maligni, ad esempio, sostengono che la presenza della Premier Meloni fosse sostanzialmente dovuta e doverosa stante la quota impressionante di gas e materie prime che l’Italia importa dall’Azerbaijan.

Chi, al contrario o per conto della politica, non si è lasciato sfuggire la ghiotta occasione di Baku, dopo l’assaggio avuto lo scorso anno a Dubai, sono le grandi companies dell’energia fossile. La loro voce, e le loro pretese di rimandare il più possibile qualunque decisione in merito alla riconversione energetica e dell’impiego di risorse fossili, si sta facendo ben sentire dai banchi, nei banchetti e nei corridoi della Conferenza. Se i numeri contano qualcosa, allora la presenza di oltre 2.600 lobbisti inviati dalle compagnie energetiche alla COP 29, contro i 6-700 delle scorse edizioni, potrebbe dirla lunga su chi realmente interessato a influenzare i suoi esiti.

In fisica, come in politica e negli affari, ci è stato insegnato che nessun vuoto rimane tale senza che qualcuno o qualcosa lo riempia. A Baku, il vuoto lasciato dalla politica infingarda ha il sapore di una scelta ben precisa che antepone il consenso dell’oggi alla coscienza per il domani.

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