IKEA: 6 milioni di risarcimento ai lavoratori forzati della ex DDR
L’Unione delle Associazioni delle vittime della dittatura comunista della ex Germania dell’Est (UOGK) alla fine ce l’ha fatta: dopo anni di negoziato, IKEA ha accettato di versare una somma di 6 milioni di Euro in favore dei loro associati.
I fatti: correva l’anno 2012 quando, su richiesta dell’Ufficio di Mediazione voluto dalla UOGK, la società di consulenza Ernst & Young ha condotto un’indagine indipendente con la quale ha dimostrato l’impiego, da parte di fornitori di IKEA, di prigionieri politici condannati ai lavori forzati dal regime comunista nella produzione di componenti e mobili della famosa multinazionale svedese. E come se non bastasse, la medesima indagine ha appurato come i responsabili dell’azienda fossero “ben consapevoli” di questo sfruttamento di mano d’opera a basso costo e forzata. Dopo anni di trattativa, nel 2021 la UOGK ha inoltrato una proposta al Parlamento tedesco per la costituzione di un fondo riparatorio da versare alle vittime a risarcimento dello sfruttamento subito. La proposta, al vaglio del Bundestag nei prossimi giorni, conta ora sulla forza persuasiva del gesto di IKEA sia in termini economici, sia, forse ancor di più, dal punto di vista della responsabilità dimostrata dall’azienda e della sua ammissione di colpa.
La vicenda citata, riporta in auge un problema alquanto annoso, piuttosto complesso, ma altrettanto di necessaria considerazione. Quello attinente i principi della giustizia riparativa che, facile intuirlo, da decenni e in alcuni casi da secoli viene bellamente ignorata. In particolare, quel principio secondo il quale se un qualunque bene viene illecitamente sottratto, a fronte della conclamazione di reato chi ha agito in siffatta maniera è tenuto a risarcire il danno inferto per lo meno con un valore economico adeguato. Su questo principio che si fondano le rivendicazioni avanzate in tal senso da un numero crescente di leader dei Paesi dei Sud del mondo sulla scia dei precursori latinoamericani.
Nel giorno delle votazioni presidenziali statunitensi, come non pensare alla ricchezza accumulata da questa potenza mondiale grazie allo sfruttamento e alle usurpazioni compiuti per decenni grazie al regime di schiavitù? Come non rammentare la potenza commerciale del Regno Unito costruita sul sistema coloniale e colonialista del Commonwealth imposto con armi, violenza e soprusi di ogni sorta a mezzo mondo asiatico, o quella della Francia della Legione Straniera in Africa orientale, di Spagna e Portogallo e dei loro Conquistadores in America Latina? Come non ricordare i Boeri olandesi e le nefandezze del regime dell’Apartheid in Sudafrica o i “Blood diamond” della Sierra Leone? Come non andare con la memoria, peraltro nemmeno del tutto interrotta, alle economie dei Paesi Europei avviate all’attuale prosperità da uno sfruttamento incondizionato e irresponsabile delle materie prime, delle terre rare, dei minerali preziosi, di gas e petrolio, delle terre fertili, dei bambini lavoratori e delle donne schiavizzate dei Paesi “poveri”, perché “impoveriti” dalle loro politiche predatorie? Come far finta di non sapere come le tigri orientali, Cina in testa, con queste medesime logiche stanno accumulando pari se non superiore ricchezza subentrando in Africa come in America latina con uguale o perfino peggiore spregiudicatezza e irresponsabilità dei loro predecessori? Come non menzionare i popoli nativi delle Americhe usurpati delle loro terre, delle foreste e della loro cultura da spregiudicati latifondisti e commercianti che, senza scrupolo alcuno, non hanno esitato né esitano tutt’oggi a compiere omicidi e incutere terrore armato? Potremmo continuare a lungo prima di esaurire la casistica.
Peraltro, senza tralasciare il fatto che di pari passo con tali impunità da addebitarsi agli Stati, molti degli attuali “paperoni” possono tuffarsi nelle loro disneyane piscine riempite con le fortune accumulate in maniera forse ancor più piratesca. A volte, in totale combutta con i rispettivi Governi. Altre, con loro compiacente e remunerativa benedizione. In altri casi, solamente giocando sul disinteresse verso reati e illeceità altrove commesse e da altri subite.
Le briciole, perché di briciole si tratta, stanziate con i programmi di cooperazione internazionale, con gli aiuti economici, i Piani Marshall, Mattei, De Gaulle e compagnia cantando, sono pannicelli caldi su una ferita dolorosa, profonda, sanguinolenta e non cicatrizzata. Le migliori intenzioni annunciate nei Vertici internazionali e nelle sedi di Governo dai leader mondiali, per le quali da oggi in poi non si praticheranno più azioni predatorie, ma programmi condivisi, paritetici, partecipati, ecc. ecc., anche se dovessero per una volta concretizzarsi, cosa che si attende disillusi da decenni, sarebbero cerotti posticci e del tutto inadeguati alla portata dell’emorragia provocata.
Come per altre questioni vessate e aperte, in primis quella del debito internazionale, urge trovare una mediazione a partire dalle stime e dai computi già realizzati da eminenti studiosi e scienziati che sbugiardano, bollandole di ridicolo, le giustificazioni circa il non procedere con un risarcimento nei confronti delle popolazioni impoverite stante l’impossibilità di stabilire un quantum per i danni ad esse arrecati.
La giustizia riparatoria non ammette eccezioni: chi ha danneggiato, rubato, sfruttato indebitamente, estratto irresponsabilmente, sottratto iniquamente deve risarcire in misura commisurata al danno. Senza l’espiazione di questo peccato originale, vero e proprio macigno sulla strada all’emancipazione dei poveri, permane una palese e conclamata violazione del diritto alle pari opportunità che a tutti dovrebbe essere garantito.
Occorre agire prima che la temperatura febbricitante già oggi registrata nei due terzi del mondo non salga a livelli dove ammesso o inevitabile perdere lucidità e ragionevolezza. L’ adagio “chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto, scordiamoci il passato”, temo non sia più di quel tanto popolare oltremare.