Piano Mattei per l’Africa. Il buongiorno si vede dal mattino

6 luglio 2024: il colosso agroalimentare italiano BF spa, società leader nella filiera agro-alimentare nazionale, sigla un accordo con il Governo algerino ai sensi del quale la BF disporrà in concessione 36mila ettari di terreno da coltivare a cereali e legumi. Produzione che, stando alle dichiarazioni della sua dirigenza confermate da membri del Governo italiano, sarà destinata al raggiungimento dell’autosufficienza alimentare dell’Algeria e alla creazione di 12mila nuovi posti di lavoro in loco.
Il Ministro Lollobrigida inneggia alla messa in pratica di quel “mai più assistenzialismo” posto alla base del Piano Mattei per l’Africa con il quale il Governo italiano ha dichiarato di voler appoggiare lo sviluppo del continente africano con un “approccio collaborativo e non più predatorio”.
Il Presidente della Coldiretti Prandini si sgola ad ogni incontro pubblico nel chiedere la tutela delle produzioni italiane e la difesa dalla concorrenza sleale delle importazioni di prodotti alimentari provenienti da Paesi terzi (come se noi fossimo esenti dall’averlo fatto nei confronti di altri).
Questo il contesto nel quale il megaprogetto di messa a coltura di nuovi terreni in capo a BF sta per essere avviato. Questo il paradossale teatrino nel quale le bufale, le balle, gli obiettivi reconditi e i millantati crediti di un Piano mistificatorio prendono il proscenio.
Sebbene il testo dell’accordo siglato lo scorso 6 luglio tra BF e Algeria non sia stato reso pubblico, dalle fonti di informazioni accreditate, dai comunicati della stessa BF e dalle dichiarazioni del Ministro Lollobrigida si possono ricavare elementi alquanto interessanti ai fini di una valutazione circa il cambio di passo rispetto ad un approccio “neocolonialista” millantato dalla Premier.
In primis, rilevando come la società neocreata per la gestione del progetto sia partecipata al 51% da BF e dal 49% dal fondo sovrano per gli investimenti algerino …. giusto per mettere subito in chiaro dove staranno il potere e l’autonomia decisionale. Poi, la prima contraddizione riguardo alle tempistiche. Mentre il progetto si pone come obiettivo quello del raggiungimento della autosufficienza alimentare locale entro il 2027, la concessione dei 36mila ettari a BF andrà ben oltre il 2028. A seguire, la contrapposizione delle dichiarazioni di Lollobrigida, che si è affannato a rassicurare l’amico Prandini circa la totale destinazione delle produzioni al mercato locale o, al limite, alle esportazioni verso l’Africa sub-sahariana e le affermazioni del Ministro per l’agricoltura algerino che, al contrario, sostiene che il 40% dei cereali e legumi coltivati con il progetto andrà a finire sui mercati del Nord, Italia compresa. Analogamente, la stima della creazione di posti di lavoro varia di un 100% tra le due parti: 12mila per l’Italia, poco più di 6mila per gli algerini, dei quali 5mila a tempo determinato che, in agricoltura, sappiamo bene cosa significa. Ancora, nulla si dice circa le politiche di controllo dei prezzi derivanti da un’immissione di una nuova unità produttiva tanto poderosa sui mercati locali; nulla sulla ripartizione degli utili, ovvero se seguiranno la medesima ripartizione degli investimenti societari.
Ma ciò che più inquieta, sempre stando alla coerenza con il supposto sviluppo non predatorio di una realtà africana, è l’impatto che un simile mostro produttivo avrà sui piccoli produttori agricoli locali. Non sarebbe la prima volta che un accaparramento di terreni di tale portata andasse a detrimento delle aziende a conduzione familiare che, vale la pena ricordarlo, costituiscono la grande maggioranza del tessuto produttivo agricolo locale, o che producessero un tale scombussolamento del mercato agroalimentare locale da ingenerare una concorrenza spietata e impari tra piccoli e grandi poli produttivi.
Lo sviluppo, non solo agricolo e non solo dell’Africa, necessita di un approccio e di una visione totalmente diversa da quelle sin qui andate per la maggiore. Decenni, secoli di storia dimostrano come i grandi investimenti stranieri, le grandi centrali produttive, la concentrazione degli investimenti, la messa in campo di mega progetti hanno portato ad una progressiva depauperazione dei terreni, a un continuo sfruttamento dell’ambiente e delle risorse naturali, ad una inefficacia nella lotta alle povertà e alla fame delle popolazioni dei Sud del mondo. Strategie, queste, che hanno fallito anche nei Paesi “sviluppati”. In Italia, nel corso degli ultimi 3 decenni si calcolano oltre 1 milione di piccole aziende agricole a conduzione familiare costrette a chiudere i battenti riversando migliaia di persone nelle città, nella disoccupazione e lasciando interi territori alla mercè dell’abbandono, dell’incuria e del degrado all’origine di buona parte delle catastrofi ambientali del nostro tempo.
Le aziende, per loro natura, non sono enti di beneficenza. I Governi dei Paesi avanzati, per loro dovere, hanno il compito di promuovere i rispettivi sistemi produttivi anche all’estero. Quelli locali, per loro necessità, di perseguire l’autosufficienza alimentare alle loro popolazioni.
Prima di tutto e sopra tutti, tuttavia, rimane il diritto all’autodeterminazione delle comunità locali nella definizione di politiche di sovranità alimentare verso una piena emancipazione dalle angherie spesso imposte da un mercato globale tiranno piegato agli interessi e al profitto delle grandi concentrazioni produttive.
Con il bene placido delle migliori intenzioni del Governo italiano e la tara della riconfermata vacuità del suo Ministro all’agricoltura, non ci pare che questo diritto sia in cima alle finalità del Piano Mattei ….. almeno stando a questo primo passo concreto della sua messa in opera.