Cosa mettiamo nel piatto?

Il recente Rapporto “Stop pesticidi nel piatto 2023”, redatto da Legambiente, sui residui di pesticidi negli alimenti che consumiamo dovrebbe far riflettere noi tutti e far agire chi di dovere. L’analisi condotta su di un campione di oltre 6mila alimenti (6.085 per l’esattezza), registra un dato positivo e mette in luce molte preoccupazioni.
Positivo che la percentuale di alimenti nei quali permangono pesticidi si è ridotta al 39.21% rispetto al 44.10 dello scorso anno. Preoccupante, leggendo in controluce, che ancora quasi due alimenti su tre che arrivano sulle nostre tavole contengano uno o più pesticidi, spesso in cocktail ancora più nocivi alla salute dei consumatori. “Acetamiprid, Fludioxonil, Boscalid, Dimethomorph, Imidacloprid” sono alcuni dei nomi impronunciabili dei veleni che quotidianamente ingeriamo consumando frutta, verdura e alimenti di origini animale.
Ma la cosa più importante da mettere in luce è che solo una minima percentuale di prodotti alimentari viene oggi considerata “irregolare” ai sensi delle normative vigenti. Dei 6mila campioni presi in considerazione, infatti, solamente 1.62% sono risultati non commerciabili. Tuttavia, nel restante 98.38% dei casi, cioè nella quasi totalità del campione che risulta “regolare”, la presenza di pesticidi residui risulta essere del 15.67% con un solo pesticida presente e del 23.54% con un mix di più sostanze. Percentuali che schizzano al 50.28% nella frutta in generale, all’84% nelle pere e al 73% nelle pesche e, udite udite, al 71.21% nei cereali integrali e al 50.85% nei vini.
La storia è completamente diversa se invece si considerano i prodotti “biologici”. Nonostante la miscredenza diffusa che caratterizza il chiacchiericcio da supermercato assertore della “grande truffa” di questa etichettatura, il rapporto registra come la percentuale di alimenti con residui presenti nei prodotti biologici si riduce drasticamente ad un infimo 1.38% del campione. Con tutta probabilità, a doverosa difesa del biologico e a discredito del luogo comune circa la poca serietà dei controlli sulle produzioni “bio”, la contaminazione va ascritta perlopiù a fenomeni di deriva dell’utilizzo dei pesticidi in coltivazioni limitrofe.
A fronte di questi dati statisticamente rilevanti e probanti, le reazioni dei decisori politici non si sono fatte attendere. In primis, come doveroso, quelle del Ministro Lollobrigida a capo del Ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste. Rimandando ad altro mio articolo le questioni sull’uso improprio del principio di sovranità alimentare, assolutamente non disgiunta dall’argomento in questione, vale la pena soffermarsi sulle dichiarazioni strettamente in relazione al Rapporto di Legambiente.
Iniziando con l’esprimere un personale accordo rispetto alle considerazioni del Ministro in materia di prodotti provenienti dall’estero. Innanzitutto in quanto il consumo di alimenti di importazione contribuisce significativamente alle emissioni di gas serra a causa dei lunghissimi trasporti; allo sfruttamento di migliaia di piccoli produttori locali; all’accaparramento di terre fertili sottratte al giusto profitto e ai benefici delle popolazioni locali; alla devastante perdita di biodiversità dovuta alle monoculture intensive; alla deforestazione selvaggia; alla sterilizzazione dei suoli; ecc. ecc.. Evidenziare la contrarietà a che i prodotti nazionali siano via via sostituiti con derrate prodotte all’estero, essendo questa la sola minaccia di “sostituzione”, anche in questo caso il Ministro trova tutta la mia solidarietà. Nel caso della frutta esotica d’importazione analizzata nel campione, frutta che molto probabilmente abbonderà nei nostri ricercati menu natalizi, la percentuale di alimenti “irregolari” sale ad un preoccupante 7.41%.
Dove al contrario si fatica a comprenderlo è nell’intervista flash rilasciata da Lollobrigida lo scorso 11 dicembre. Nemmeno riascoltandola più volte, sintassi a parte, la professionalità e la competenza indispensabili al ruolo sembrano contraddistinguere il Ministro. Per comodità, trascrivo quasi integralmente quanto dichiarato: “I pesticidi servono a contrastare alcune fitopatie, noi vogliamo eliminarli progressivamente, anzi il più velocemente possibile. Ma a quale velocità? Alla velocità che permetta di eliminare i pesticidi ma non di eliminare le produzioni …. Sarebbe paradossale infatti, a parità di consumo, avere la necessità di importare da nazioni che utilizzano 10 -20 volte i pesticidi che noi limitiamo ai nostri produttori limitando le produzioni, e peraltro non avrebbe nessun beneficio reale sull’ambiente“.
Allontanando la tentazione di scrivere un altro libro in materia, a patto servisse, mi vien solo di evocare Trilussa con un sonoro: ma che cxxxx stai a dì? Forse Lollo non sa che le produzioni biologiche hanno eliminato i pesticidi, ma non le produzioni che, sul lungo termine, addirittura crescono; forse non rammenta che la maggioranza degli alimenti importati da quelle nazioni incriminate sono prodotti da multinazionali occidentali, italiane comprese; magari non ha mai sentito parlare di lotta integrata per contrastare le fitopatie; probabilmente, a proposito di velocità, dimentica la recente votazione europea che ancora rimanda sine die il divieto di utilizzo del glifosate; sicuramente conferma una visione lillipuziana di quella sovranità alimentare che il suo dicastero dovrebbe promuovere limitandola ad un becero protezionismo dei produttori italiani. Del resto, ormai si sa, il suo amichetto Prandini, Presidente di Coldiretti, sta riscuotendo la fattura del grande voltafaccia compiuto da questo potente sindacato a sostegno dell’incompetenza fruttifera di una politica collaterale.
Il più in fretta possibile, vorremmo fosse alla velocità richiesta dal diritto fondamentale alla salute dei consumatori e non a quella di chi ancora recalcitra nel compiere una riconversione della produzione di alimenti affinché siano salubri per le persone e benefici per l’ambiente.