Migranti: alcuni dati per farsi un’opinione

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Numeri vaganti, strumentali letture parziali del fenomeno, speculazioni brandite ad hoc sulla crescita dei migranti giunti in Italia in questo 2023, e la ricorrenza della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (24 settembre), sollecitano la necessità di opinioni fondate su dati oggettivi, piuttosto che plasmate su emotività e paure.  Personalmente, tuttavia, ritengo che ciò non possa prescindere da alcuni principi di civiltà, dall’inalienabilità del diritto di tutti di essere “liberi di scegliere se partire o restare”. In attesa del “piano Mattei per l’Africa”, ultimo dei molti annunciati e mai avviati; pronto a plaudire se la prossima Legge di Bilancio onorerà gli impegni assunti con la Comunità internazionale adeguando gli stanziamenti per l’Aiuto pubblico allo Sviluppo dei Paesi poveri ancora fermo a meno della metà di quanto promesso; sostenendo che la vita di ogni singola persona debba avere la primazia assoluta in qualsivoglia scelta, ivi compresa la ragion di stato.

Vero: quest’anno, il numero di persone che hanno approdato nel nostro Paese è raddoppiato rispetto al 2022 e triplicato se confrontati con quelli registrati nel 2021. I dati del Ministero degli Interni riportano 43.274 (2021), 68.283 (2022) e 130.620 già al 19 settembre 2023. Dato quest’ultimo destinato ad incrementare anche se, con l’avvento della stagione sfavorevole alle traversate marittime, non con lo stesso andamento crescente dei mesi di bonaccia.

Vero … ma, a proposito di “aventi diritto”: sempre secondo il Ministero degli Interni, circa il 64% dei migranti proviene da Paesi in conclamato stato di conflitto (Camerun, Costa d’Avorio, Guinea, Mali e Siria), o in stato di flagrante violazione di diritti umani (Bangladesh, Egitto, Pakistan e Tunisia); la maggior parte di loro da Paesi nei quali le rispettive popolazioni subiscono quotidianamente il mix fatale di queste situazioni aggravate da condizioni di estrema povertà, e comunque non corrispondenti all’immaginario comunemente alimentato da Paesi del Nordafrica.

Falso, al contrario, che ai recenti allarmi per l’emergenza di “minori non accompagnati” corrispondano dati coerenti: sempre alla data del 19 settembre 2023, il loro censimento registra 11.649 presenze contro le 14.044 del 2022. Anche nella più “catastrofica” delle previsioni, quindi, il numero totale a fine anno non registrerà incrementi significativi. L’insistente pietismo umanistoide dei media, in questo ci mette assai del suo.

Facinorosa l’abusata equivalenza “straniero=delinquente”, frequentemente avvallata da una comunicazione mediatica servile. Altrettanto infondato, il messaggio minatorio e alquanto redditizio, quindi ripetutamente diffuso, circa l’aumento della delinquenza imputabile alla popolazione migrante. Stando ai numeri del Ministero della Giustizia, la popolazione straniera detenuta nelle carceri italiane, in termini assoluti, è di poco superiore a quella del lontano 2002 (16.788 persone), ma con i suoi 17.683 censiti risulta significativamente inferiore a quella registrata nel 2012 (23.492). Senza dimenticare che, nello stesso periodo di tempo, il numero totale di stranieri presenti sul territorio nazionale passa da 1,5 milioni agli oltre attuali 5 milioni attuali. Significa, come volutamente omesso dalla retorica xenofoba, che in Italia la percentuale di delinquenti stranieri oggi è pari allo 0.3% del totale degli immigrati, contro l’1,1% di inizio millennio. Percentuale inferiore a quella relativa agli italiani “DOC” di poco superiore all’1% della popolazione totale.  

Vero, ma molto meno riconosciuto e narrato, il contributo alla sostenibilità del nostro welfare apportato da immigrati. Il Rapporto 2023 Family (Net) Work – Laboratorio su casa, famiglia e lavoro domestico” promosso da Assindatcolf in collaborazione con il Censis, Effe (European Federation for Family Employment & Home Care), la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro ed il Centro Studi e Ricerche Idos – riporta come siano state “1.328.000 le persone che nel 2022 hanno avuto necessità di personale straniero per l’assistenza familiare: circa 651.000 di badan­ti e oltre 677.000 di colf e baby-sitter. Ed inoltre prevede che “Tenendo conto delle previsioni di incremento della popolazione anziana, si calcola che questa platea crescerà fino a 1.402.000 persone nel 2025, di cui 687.000 necessi­teranno di badanti e 715.000 di colf e altro”. Stime impressionanti pensando ad un’ipotetica loro assenza per la sostenibilità di servizi essenziali, la ricomposizione di una coesione sociale, il sopperire alle défaillance imposte dal nostro sviluppo espulsivo dei “non produttivi”.

Realtà di fatto confermata in altri contesti, purtroppo meno portati alla considerazione pubblica. Come nel caso di un’iniziativa di COLDIRETTI: con i suoi 1.5 milioni di agricoltori italiani associati, l’Associazione ha di recente stipulato un accordo con il Governo del Kirghizistan per inserire nel contesto pastorale della Sardegna un gruppo di primi 100 allevatori Kirghisi “con capacità professionali specifiche nel settore primario che seguiranno un percorso di formazione ed integrazione nel tessuto economico e sociale della Regione con opportunità anche per le mogli nell’attività dell’assistenza familiare”. L’allevamento ovinicolo, pilastro cultural-produttivo portante dell’isola e dell’intera Italia, verrà salvaguardato e ancora tramandato grazie all’apporto di migranti stranieri.

O ancora come per quanto ideato e progettato dalla Unione Parmense degli Industriali (UPI): come esplicitato in una recente nota, “molte imprese, dalla logistica al settore edile, dall’impiantistica all’alimentare, avrebbero le potenzialità per procedere a nuove assunzioni ma incontrano difficoltà nel reperimento di alcuni profili professionali sul mercato del lavoro, frenando di fatto il proprio sviluppo e quello del tessuto industriale parmense”. A fronte di ciò e dei tagli inferti dal Governo ai fondi destinati all’insegnamento della lingua italiana agli stranieri, in azione sinergica con centri di formazione, cooperative sociali e enti del territorio, UPI finanzia, organizza e fornisce gratuitamente questi corsi, convinta della propedeuticità di tale iniziativa per il necessario pieno inserimento dei migranti nel tessuto produttivo locale.

Ed è sempre COLDIRETTI a registrare come, nel 2018, i circa 350mila lavoratori, pari al 26.2% del totale del “lavoro necessario nelle campagne italiane”, siano originari di ben 155 diversi Paesi. Persone che, al netto dei problemi di sfruttamento, di caporalato, di condizioni di alloggio infra-umane, di retribuzioni affamatorie e parametri di sicurezza inesistenti e quant’altro si possa aggiungere per descrivere il 10° girone dantesco nel quale, senza colpa da scontare, sono costretti a lavorare, inducono i vertici dell’Associazione a riconoscere che essi “contribuiscono in modo strutturale e determinante all’economia agricola del Paese e rappresentano una componente indispensabile per garantire i primati del Made in Italy alimentare nel mondo”. Ovviamente, senza godere in alcuna misura dei lustrini, dei riconoscimenti, dei guadagni e dei lussuosi vezzi beneficiati con le DOCG, DOC, marchi di tutela, dichiarazioni di originarietà, zone di produzione esclusive goduti dai templari dell’italianità.

Sebbene secondarie in quell’umanesimo ancora fortunatamente ispiratore di una minoranza non impressionabile dalle favole di orchi e streghe del XXI secolo, le cifre potrebbero scalfire le dure cervici propugnatrici di blocchi, fili spinati, muri, recinti di contenimento e roghi purificatori; dovrebbero rintuzzare le ministeriali “imposizioni di linea” annunciate da Piantedosi, e promuovere una strategia condivisa che affronti strutturalmente questo cambiamento sociale, culturale e economico definitivamente incardinato nel nostro Paese.  

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