Auto elettriche: non basta !

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Fa discutere il Regolamento approvato dal Parlamento europeo che intende imporre lo stop alla vendita di autoveicoli a motore termico a partire dal 2035. Le posizioni di partiti e di interi Stati membri della UE si scontrano in un acceso dibattito prioritariamente incentrato sull’efficacia della misura e sulle ripercussioni che questa avrebbe sulla produttività, quindi sull’economia, dell’eurozona.

Il nostro Paese, di conseguenza, essendo tra i maggiori produttori di autoveicoli per voce dell’attuale Governo sta assumendo una posizione tra le più oppositrici a questa decisione.

Visto il balletto dei numeri e dati citati alla rinfusa e/o alla bisogna, la prima questione che va conosciuta è quella relativa alla portata del problema. Non senza una doverosa premessa da parte di chi scrive: la riduzione delle emissioni inquinanti e clima-alternati per la salvaguardia della vivibilità del nostro pianeta è obiettivo sacrosanto, irrinunciabile, urgente e improcrastinabile. Da decenni mi batto personalmente e con molti compagni di strada dalle assise internazionali e fino ai comportamenti individuali per contribuire, per quanto mi è dato, al conseguimento di stili di vita e di politiche responsabili e orientati al bene delle prossime generazioni. Ho da tempo compreso come l’avvelenamento della terra sia uno dei crimini peggiori indotti dal progresso così come concepito e propugnato dalla nostra “civiltà” edonistico-industrializzata.

La European Environment Agency calcola che le emissioni di gas clima-alteranti dovute al settore trasporti ricoprono circa un quarto di quelle totali (27%) delle quali ben il 72% rappresentato dai trasporti su strada. Va inoltre considerato che, sempre secondo la EEA, dal 1990 al 2019 “l’inquinamento” da trasporti è cresciuto del 33,5%. Le recenti misure introdotte per la mitigazione delle emissioni dei veicoli con motore a combustione (leggi il susseguirsi delle normative antiinquinamento conosciute con le “classi Euro” dei motori a scoppio) hanno solo in parte compensato l’incremento avuto negli ultimi vent’anni del traffico su strada e dei trasporti in genere. Questo, nonostante la triplicazione, dal 2017 ad oggi, dell’immissione sul mercato di veicoli ibridi ed elettrici.

Di questo 72%, ben il 60,7% è addebitato al trasporto con automobili, ovvero principalmente al trasporto privato di persone; il 14% al comparto aereo; il 13% a quello navale e solo lo 0,4% ai trasporti su ferrovia.

Dati importanti soprattutto per l’Italia dove, meglio ricordarlo, la movimentazione di merci su gomma è del 68,1%, contro un 5,1% di quella effettuata con le ferrovie; e dove dal 2015 al 2020 i trasporti su gomma hanno subito un incremento del 14, 1%, quando la media europea si ferma all’11,7%.

Queste cifre importanti, tuttavia, non devono trarre in inganno: come opportunamente osservato dal Sole 24 ore, l’impatto delle emissioni clima-alteranti delle auto “private” è pari all’1% del totale delle emissioni di CO2. Al contempo, come rileva ISPRA, mentre le emissioni complessive stanno subendo una significativa riduzione, da 438 Milioni di tonnellata a 310 negli ultimi 30 anni, quella relativa alla auto cresce passando da 92 a 96 milioni di tonnellate e, guarda caso, con differenze rimarcabili tra le Regioni italiane.

Si potrebbe continuare a lungo citando altre fonti e riportando altri dati che, però, non farebbero che confermare questi asset essenziali che consentono di evidenziare alcune riflessioni sulle scelte e le strategie che si intendono adottare per il fondamentale obiettivo di ridurre l’avvelenamento del nostro pianeta.

Come si diceva, la scelta verso la quale si sta orientando l’Europa, è il passaggio totale alle auto elettriche entro il 2035. Lasciando a chi più competente il dirimere sulla discutibile convenienza economica della produzione di motori elettrici, per esempio rispetto a quelli alimentati ad idrogeno, voglio qui affrontare alcuni aspetti diversi della questione.

In primis, sull’approccio che sembra guidare le decisioni in corso. Optare per una soluzione, l’auto elettrica, che non tocca minimamente lo stile di vita delle persone suscita perplessità. Un po’ come la questione dell’Area C di Milano e delle limitazioni del traffico in tutte le grandi metropoli. L’assenza di politiche ed azioni miranti alla riduzione tout court dell’utilizzo dei veicoli, la mancanza di proposte per una modifica dei comportamenti edonistici che sin qui hanno condizionato il nostro modello di vita, rischiano di fomentare l’idea, o l’illusione che dir si voglia, secondo la quale ciò che importa è soddisfare le esigenze personali senza curarsi degli effetti negativi che ciò comporta. Incentivare il trasporto su ferrovia o il ricorso a mezzi pubblici e condivisi, avrebbe una lungimiranza del tutto differente rispetto all’idea per la quale non si rinuncia minimamente all’utilizzo dell’auto e delle più auto di proprietà, anche se questo comporta costi aggiuntivi sia in termini economici che ambientali. Basta pagare, e tutto si risolve.  Un po’ come lo scandaloso mercato delle quote di emissioni nocive. Come noto, esiste la possibilità per gli Stati che superano le quote ad essi assegnate di emissioni di gas serra, CO2 in particolare, di vendere ad altri meno inquinatori parte delle eccedenze prodotte. Così, si continua ad inquinare riversando su altri, e sul pianeta nel suo insieme, il costo del nostro sviluppo.

In seconda battuta, affrontare la questione dell’inquinamento partendo, e limitandosi, al problema delle auto con motore termico, rischia di distrarre l’attenzione dalle altre fonti di emissioni nocive che altrettanto, se non di più, contribuiscono all’avvelenamento del pianeta. Se, come sopra argomentato, le percentuali di inquinamento addebitabili al trasporto privato hanno dimensioni alquanto contenute, meglio si farebbe ad avere la medesima determinazione nell’imposizione di transizioni anche ad altri settori e verso altri soggetti. Aggredire, come spesso accade, la fascia di popolazione più demunita di strumenti di pressione e rispetto alla quale risulta grandemente più facile incassare i risultati, è vizio reiterato della politica. Servono soldi? aumentiamo le accise; sono richieste maggiori entrate? Aumentiamo i tagli orizzontali; bisogna coprire buchi di bilancio? Attingiamo alla spesa pubblica per i servizi essenziali. Ecc. ecc. perpetuando in questo modo il vizio di procedere con l’applicazione di soluzioni “flat per le quali tutti contribuiscono in maniera ugualitaria e non proporzionale al bilancio pubblico. Se, al contrario, per un’efficace riduzione delle emissioni nocive occorre confrontarsi con le grandi lobby e i poteri forti di economia e finanza, ecco allora che le nobili intenzioni di salvare il pianeta diventano improvvisamente più blande e lasciano spazio ad una maggior indulgenza, ad una più grande “comprensione” delle difficoltà, ad una diversa flessibilità sulle tempistiche e le scadenze e a mettere immediatamente in gioco sussidi e incentivi “adeguati”. Agricoltura e industria, quali maggiori settori produttivi del nostro Paese e del mondo occidentale, dovrebbero rispettare misure e scadenze decise e sottoscritte in sede internazionale altrettanto vincolanti e sicuramente altrettanto impattanti quanto la dead line del 2035 per l’elettrico.

Infine, solo perché mi sta particolarmente a cuore, penso che la giusta concentrazione sul problema della CO2, non deve assolutamente distrarre da altre conseguenze che la scelta della transizione all’elettrico comporta.  Anche in questo caso lasciando ad altri e sperando nella rapida soluzione del problema relativo allo smaltimento delle batterie dei veicoli elettrici, e di quello dei veicoli desueti (!), voglio attirare l’attenzione sulla problematica dell’approvvigionamento in materie prime per la costruzione delle auto di nuova generazione.

Notoriamente, i minerali rari necessari alla costruzione dell’elettrico, soprattutto delle batterie, provengono da alcuni Paesi dei Sud del mondo, Africa in primis. Il dibattito di queste settimane si è focalizzato ancora una volta sugli aspetti economici del problema, ovvero, sulle conseguenze indotte dal passaggio da una dipendenza economica dai Paesi OPEC e dalla Russia conseguente al bisogno di petrolio e di energia fossile, ad una dalla Cina per garantire le quantità utili di cosiddette “terre rare” come il litio e il cobalto.  Non che Pechino ne sia grande produttore, bensì in virtù del suo pressocché totale controllo geopolitico sul continente africano.

Non voglio qui il discutere delle implicazioni della strategia economica nazionale che nell’ultimo secolo ha  violentato la natura dell’Italia trasformandola da Paese a vocazione agricola ad uno prettamente industriale. Certo è che la dipendenza dall’estero non poteva che esserne un’inevitabile conseguenza data la più totale assenza di fonti energetiche di prima generazione nel nostro territorio e il ritardo accumulato nella produzione di energie alternative.

Tuttavia, penso che la valutazione della inevitabile scelta di dipendere da Xi gin Ping, da Putin, dallo Sceicco di turno o dai proprietari delle “sette sorelle” non debba esclusivamente basarsi sugli aspetti economici e di convenienza. Le strategie e le azioni messe in atto da queste potenze energetiche per la massimizzazione dei rispettivi enormi profitti hanno a che vedere con il rispetto dei diritti e della dignità di milioni di persone, bambini inclusi, sfruttate nelle miniere a cielo aperto del Congo o della Bolivia; nelle cave argentine e cilene; nei bagni penali dello Zambia o del Kazakistan.

La sostenibilità ricercata con la transizione alle auto elettriche non può prescindere dalla sostenibilità, o meglio dalla vivibilità, di tutta la sua filiera produttiva. Soprattutto quando, come spesso accade, le nostre esigenze portano allo scarico dei costi e delle negatività su altre persone e le nostre soluzioni hanno un orizzonte limitato al ristretto perimetro dei nostri sporchi interessi.

Il 2035, meglio sarebbe domani, deve essere anche la scadenza imposta e vincolante per il rispetto dei diritti umani e della dignità delle persone da parte delle industrie estrattive che semplicemente adeguano le proprie strategie produttive alle nuove “sostenibili” esigenze del mercato. Ovviamente, sulla pelle dei più poveri del pianeta.

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Un commento

  1. Io , come forse avevo già detto, non leggo tutte le riflessioni e mi spiace….soprattutto se sono “Illuminanti” come questa
    Tutte le scelte che per il mondo occidentale sono “imprescindibili per il continuo sviluppo”, vanno a discapito dei paesi più poveri.
    È ora di dire basta, ma come?