No alla guerra: ancora più convinto il “senza se e senza ma”.

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Lo scrivevamo un anno fa con due post su Facebook: la guerra, anche in Ucraina, non risolverà nulla.

Lo diciamo da decenni insieme a milioni di italiani: no alla guerra senza se e senza ma.

Lo impone la nostra Costituzione quando recita “L’Italia ripudia la guerra”.

La realpolitik e l’accomodamento dei tanti sostenitori “dell’inevitabile” e degli ancor più numerosi accondiscendenti con “è l’unico modo per difendersi e ristabilire la pace” si infrange una volta di più contro l’evidenza dei fatti: l’escalation della violenza e della lotta armata è fatta di piccole “inevitabili” micro spirali che, progressivamente sommandosi, conducono a un punto di non ritorno, all’esclusione de facto di ogni alternativa e all’inibizione di qualsiasi azione parallela.

Ringrazio sinceramente e ancora una volta chi commentò queste posizioni: il confronto è sempre utile. Tuttavia, al crescere delle ipotesi di un allargamento e inasprimento del conflitto ucraino-russo, credo opportuno riproporre alcuni fatti, cifre e opinioni che mi confermano in quella posizione. Anzi, la rafforzano.

La spesa militare mondiale cresce esponenzialmente di anno in anno, anche nei periodi cosiddetti di crisi e di ristrettezze economiche: nel 2021, in piena pandemia, ha superato i 2.100 miliardi di dollari. Cinque Nazioni – USA, Russia, India, Cina e Gran Bretagna – da sole contribuiscono per il 62% del totale; la Cina, da sola, alloca alle spese militari 252 Miliardi di Dollari, ovvero il 1,7% del proprio PIL e gli USA arrivano ad uno stanziamento di 778 Miliardi di Dollari pari al 3.7% del PIL nazionale; l’Arabia Saudita l’8,4%, Israele il 5,6% e la Russia il 4,3% dei rispettivi PIL.   L’Italia? In undicesima posizione mondiale con 28.9 Miliardi di Dollari pari all’1.6% del Prodotto Interno Lordo (dati 2021).

Oggi, annuncio ufficiale dell’Amministrazione Biden, gli USA rispondono alle dichiarazioni del Segretario del Consiglio per la sicurezza ucraino Oleksiy Danilov “le battaglie più sanguinose devono ancora arrivare” con un nuovo stanziamento di 2,5 miliardi di Dollari comprensivi dei missili Glsdb di ultima generazione, capaci di una gittata di 150 Km e dal costo unitario di 40.000 Dollari /cadauno. Degli ultimi giorni le minacce, vere o presunte, di Putin circa l’ammissibilità del ricorso agli ordigni nucleari contro i delatori della Russia e i collaborazionisti del Governo di Kiev.

L’irragionevolezza e la follia di questa corsa verso una catastrofe diffusa non può che avere una giustificazione già stigmatizzata nel 1974 da Alberto Sordi nel noto film “Finché c’è guerra c’è speranza”. La ricostituzione delle riserve negli arsenali, obiettivo recentemente richiesto dal Ministro Crosetto; gli enormi affari della ricostruzione di un Paese distrutto, come storicamente visto da secoli e, da ultimo, verificato  con la corsa all’accaparramento degli  appalti in Iraq partita prima della dichiarazione di guerra a Saddam Hussein; il rilancio di un industria metallurgica mondiale in enorme crisi per le pesanti limitazioni “ambientaliste” subite; i buchi neri ammessi dalla finanza del riciclaggio e dei mercati paralleli in tempo di guerra; le guerre provocate per l’accaparramento delle risorse minerarie nel continente africano, poi imputate a inesistenti lotte tribali; sono la vera faccia dei millantati nobili ideali di difesa dei diritti, della democrazia e, addirittura, di mantenimento della pace. O almeno, si converrà, li fanno impallidire.

I piccoli passi, come quelli che oggi portano all’aumento della potenza di fuoco dispiegata sul fronte russo-ucraino, sono una delle più infide insidie infiltrate nel pensiero comune e nei comportamenti umani. Ciò è vero nel bene e nel male; vero anche nelle piccole scelte come nelle grandi decisioni.

Le critiche da bar, quelle rivolte ai “pacifisti” tacciati di utopia e surrealismo, anche quando ammantate da altisonanti motivazioni come quelle usate da certa, troppa, politica, ne sono una drammatica farsa.  

Proposte concrete, fatte di piccoli quanto urgenti passi da intraprendere con la medesima determinazione posta nell’economia di guerra, sono da anni elaborate e avanzate. Fondamentalmente fanno tutte riferimento a ciò che già nel 1975 Johan Galtung, sociologo e matematico norvegese, definiva come “pace positiva” contrapponendola a quella “pace negativa” fatta unicamente del “cessate il fuoco” in nome della necessità di aggredire le cause che portano ai conflitti. L’importante, appunto, è iniziare; altrimenti, come dimostratosi, la successione di piccoli accadimenti e congiunture singolarmente poco rilevanti, tracciano il cammino verso situazioni di grande violenza e conflitto.

Utili suggerimenti, e motivo di riflessione certa, provengono da un articolo a firma del Professore Stefano Zamagni apparso nello scorso settembre su “politicainsieme.com” (un po’ lungo, ma garantisco estremamente interessante e, eventualmente, sintetizzato da Avvenire il 21 settembre 2022).

In questo scritto, Zamagni conclude affermando che “La pace non è un obiettivo irraggiungibile perché la guerra non è qualcosa che accade come un terremoto o uno tsunami; ma è frutto della scelta di persone che la vogliono. E per questo sviluppano ideologie che insegnano ad odiare: il vicino, il diverso, il povero, diffondendo la cultura dell’aporofobia. Guerra e pace cambiano il carattere delle persone, chiaramente in direzione opposta.

Condivido pienamente, continuando a sperare in una virulenta contaminazione.

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2 Commenti

  1. Va bene no alla guerra, nessuno l a vuole, ma vorrei capire come si pensa di finire!
    L’Ucraina deve accettare l’invasione della Russia ? la Russia qualcuno riesce portarla al tavolo delle trattative per rinunciare alla sua prepotenza? Chi potrebbe riuscire a gestire le trattative
    per cui dire NO alla guerra è facile, come risolvere è difficile e non ho ancora sentito qualcuno con qualche idea concreta

    1. Lorenza grazie per il commento. L’intento dell’articolo è proprio quello di offrire una risposta concreta alle tue domande. Credo che quanto propone il Prof. Zamagni nel suo articolo “linkato” siano idee concrete, fattibili e di impatto. Credo altresì che a volte ci si caccia in vicoli ciechi dai quali, a posteriori, è difficile uscirne. Non tutti i problemi, purtroppo, hanno una soluzione, o hanno soluzioni dolorose ed estreme. Ciò vale sempre e in tutti i campi; a patto di non cedere all’illusione di immortalità che attanaglia la nostra cultura occidentale,
      Del resto, non trovo alternativa a mettere in campo efficaci strategie preventive, senza le quali le strade senza uscita si ripresenteranno e continueranno a fare ingenti danni; a far pagare costi drammatici a civili inermi alla mercé dei deliri di onnipotenza dei tanti che si credono padroni del mondo. Per questo reputo sciocche le critiche rivolte all’azione delle Nazioni Unite che, a mio avviso, rimangono il soggetto idoneo per mettere in campo una governance globale per una pacifica convivenza. Sebbene non di certo prive di manchevolezze e assolutamente bisognose di profonde riforme della loro governance, le N.U. hanno il mandato di prevenire i conflitti e non, come pensato superficialmente da molti, di sedare e risolvere le situazioni di guerra.
      A frittata fatta, difficile pretendere le uova integre.