Stop alla plastica monouso: avanti così …,ma più veloci

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Con oggi (14 gennaio 2022) ai sensi della Direttiva europea del 5 giugno 2019 (!!), anche in Italia scatta il divieto di utilizzo dei prodotti realizzati con plastica monouso (usa e getta, o non riciclabile che dir si voglia). Finalmente, dopo proroghe, ritardi di applicazione, deroghe e quant’altro, la plastica monouso sarà bandita dalle nostre tavole (piatti, posate, bicchieri …) e dagli scaffali dei negozi (confezioni e “packaging”).

Da tempo, gli attivisti per l’ambiente denunciano come le plastiche e le microplastiche (ovvero i derivati della loro “decomposizione naturale”) siano uno dei fattori maggiormente dannosi per gli ecosistemi acquatici e, a cascata, per noi tutti che inconsapevolmente le ingeriamo mangiando cibi e alimenti da essi provenienti. A volte, in barba allo scetticismo del “tanto non cambia nulla”, caparbietà e coerenza portano risultati significativi.

Dico “significativi” in quanto le richieste avanzate a chi governa il nostro Paese andavano al di là di questa misura adottata. In particolare, mi riferisco alla cosiddetta “plastic tax”. Al pari di altre imposizioni fiscali ritenute utili e incentivanti una reale riconversione energetica dei processi produttivi e dei consumi, come ad esempio la più conosciuta “carbon tax”, l’introduzione di una minima tassazione da applicarsi alle industrie che ancora vorranno produrre plastica non riciclabile è stata stralciata dal testo della Legge di Bilancio 2022. Il motivo principale? La necessaria ripresa economica post-COVID in nome della quale l’adozione di questa misura slitta al 2023.

Ora, che il nostro Paese abbia bisogno di riprendersi dalle batoste inflitte dalla pandemia è ineluttabile. Che lo si debba fare ancora una volta a scapito del futuro delle prossime generazioni è inaccettabile.

Le associazioni di categoria di settore hanno di nuovo alzato la voce e ottenuto una ulteriore deroga all’applicazione di un principio ben espresso nella Direttiva europea citata che va sotto il nome di “responsabilità diffusa”. Vale a dire che le conseguenze, anche e soprattutto economiche, di produzioni non rispettose dell’ambiente, devono essere in parte risarcite da chi le ha causate e non solamente caricate sulle spalle della spesa pubblica (ovvero di noi cittadini). Per fare un esempio, è quanto si sta pian piano adottando in molti Comuni italiani per quanto riguarda la gestione delle isole ecologiche e delle discariche dei rifiuti.

Introdurre un’imposta sul consumo dei manufatti con singolo impiego (MACSI) da 45 centesimi al chilogrammo sui prodotti in plastica monouso, come proposto dalle principali organizzazioni di società civile, non mi pare essere un freno alla ripresa economica, mentre poteva essere un buono strumento per concretizzare i tanto reclamizzati “buoni propositi” in materia di rispetto e tutela dell’ambiente.

Intanto, in attesa di maggior coerenza da parte dei decisori, iniziamo noi a boicottare le plastiche non riciclabili e ad indirizzare il mercato con scelte di consumo consone e consapevoli bandendo dai nostri carrelli della spesa tutti i prodotti che ancora utilizzano questi materiali.

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