No Nuke: si, ma come?

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Tre giorni di confronto, discussioni e mediazioni per dire ancora una volta no unanime alla proliferazione delle armi nucleare, ma senza trovare un accordo circa le modalità operative e  percorsi per raggiungere l’abolizione di questi micidiali strumenti di morte. Questa potrebbe essere a sintesi conclusiva della tre giorni che ha visto la comunità internazionale riunita a Hiroshima nel 70° anniversario della tragedia che ha colpito questa città e la vicina Nagasaki.

Organizzata dalle Nazioni Unite attraverso il proprio Regional Centre for Peace and Disarmament in Asia and the Pacific (UNRCPD), la Conferenza ONU sul Disarmo si è svolta dal 26 a3 28 agosto alla presenza di 80 governi, numerosi esperi e rappresentanti istituzionali. A detta della maggior parte degli osservatori e della stessa presidenza della Conferenza, il consenso unanime circa l’obiettivo della creazione di un futuro senza armi nucleari e di distruzione di massa si è infranto per il voto negativo espresso da Canada, Gran Bretagna e Stati Uniti sulla necessità di convocare il prossimo marzo 2016 una Conferenza per la creazione di una zona libera da armi di distruzione di massa in Medio Oriente (WMDs – Middle East Zone Free of Weapons of Mass Destruction). Uno scoglio insormontabile che ha impedito l’adozione della Dichiarazione finale predisposta dalla Conferenza andandosi ad aggravare le già manifeste divergenze circa le misure da adottare per l’effettiva applicazione del Trattato sulla Non Proliferazione delle Armi Nucleari (NPT). L’impiego e la regolamentazione dei test nucleari, le conseguenze umanitarie del loro dispiego, la creazione di zone libere da ordigni nucleari sono state registrate tra le maggiori frizioni intercorse tra i governi partecipanti.

Ora la palla passa nelle mani del Giappone che ad Hiroshima ha annunciato l’intenzione di presentare una risoluzione alla prossima Assemblea Generale delle Nazioni Unite per l’eliminazione totale delle armi nucleari entro il 2020. Un obiettivo ambizioso, per alcuni utopistico, al quale contribuirà in maniera significativa la campagna “2020 Vision Campaign” promossa dalla Organizzazione dei Sindaci per la Pace che conta dell’adesione di 6.779 città in 161 diversi Paesi del mondo. L’impegno di tutti e la determinazione di chi ancora testimonia le drammatiche conseguenze dell’utilizzo delle armi di distruzione di massa dovranno fare ancora una volta i conti con gli enormi interessi economici, prima ancora che geopolitici, che sottendono le fabbriche di queste armi e l’espletamento dei test nucleari in giro per il mondo. Poco importa se a pagarne le conseguenze sono civili inermi, interi territori e le generazioni che verranno.

(articolo pubblicato su Repubblica.it)

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